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Cassazione: in caso di fittizia cessazione dell’attività, i lavoratori destinatari del licenziamento collettivo hanno diritto alla reintegra


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Con la sentenza n. 1852 del 23.01.2019, la Cassazione afferma che, in caso di licenziamento collettivo basato su una prospettata cessazione di attività rivelatasi poi fittizia, l’assoluta omessa enunciazione di alcun criterio di scelta nella fase di informazione e consultazione sindacale, comporta l’illegittimità del recesso e l’applicazione, in favore dei lavoratori coinvolti, della tutela reintegratoria.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il recesso irrogatogli nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo per cessazione totale dell’attività.
A fondamento della propria domanda, il medesimo deduce la nullità del provvedimento datoriale, dal momento che l’azienda datrice, al termine della procedura collettiva, per non perdere le commesse già ottenute aveva appaltato all’esterno parte dei lavori ed aveva assunto a termine alcuni dei dipendenti estromessi in precedenza.

La sentenza

La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma, preliminarmente, che la scelta dell'imprenditore di cessare l'attività costituisce esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall'art. 41 Cost.
Tuttavia, la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivano, secondo le regole dettate dall'art. 4 della l. 223/1991, ha la funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività della scelta medesima, allo scopo di evitare elusioni del dettato normativo concernente i diritti dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto nel caso in cui la cessazione dell'attività dissimuli la cessione dell'azienda o la ripresa dell'attività stessa sotto diversa denominazione o in diverso luogo.

Secondo i Giudici di legittimità, la violazione della predetta sequenza procedimentale da parte del datore - tramite l’omessa pubblicazione dei criteri con cui lo stesso identifica il personale da estromettere dall’impresa - elude il controllo dei sindacati, che invece, anche alla luce della posizione assunta in merito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, hanno un ruolo fondamentale.

Per la sentenza, dunque, la suddetta violazione risulta di una gravità tale da inficiare la legittimità dell’intera procedura collettiva e da giustificare l’applicazione della tutela reintegratoria, di cui all’art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, confermando il diritto del prestatore a vedersi reintegrato nel proprio posto di lavoro.

A cura di Fieldfisher