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Cassazione: fallimento – sospensione dei rapporti di lavoro; responsabilità per licenziamenti illegittimi effettuati dal curatore


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La Cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza n.522 dell’undici gennaio 2018, si è occupata della sorte dei rapporti di lavoro una volta che sopravvenga la dichiarazione di fallimento alla luce delle normative lavoristiche e della legislazione fallimentare e, in particolare, dell’art. 72 l.f.

Il fatto affrontato

Il lavoratore non lavora più e non percepisce la retribuzione in seguito alla dichiarazione di fallimento; la curatela ad un certo punto lo licenzia; il licenziamento viene dichiarato inefficace per violazione della l. n. 223/1991.

La sentenza

Ricordando che secondo l’art. 2119 del codice civile il fallimento “non costituisce giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro”, la sentenza accede all’orientamento che fa conseguire dalla dichiarazione di fallimento la sospensione dei rapporti di lavoro e il venir meno dell’obbligo di retribuire i lavoratori in attesa che il curatore, a stregua dell’art. 72 l.f., scelga di riattivare i rapporti di lavoro ovvero di sciogliersi da essi. (solo se è disposto l’esercizio provvisorio, anche per i rapporti di lavoro vale la regola della prosecuzione automatica, salva la facoltà del curatore di scioglierli o sospenderli :art. 107, co.7). Può succedere che il curatore opti per la risoluzione dei rapporti di lavoro e, in questo caso, rispettando le regole limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, non risultando affatto sottratto ai vincoli propri dell’ordinamento lavoristico. A loro volta, i lavoratori potranno impugnare i licenziamenti e, qualora l’impugnazione abbia successo, sulla procedura si riverbereranno le conseguenze della illegittimità dei provvedimenti di licenziamento secondo le regole della legislazione lavoristica nei limiti in cui le stesse siano compatibili con lo stato di fatto determinato dal fallimento. Sulla base di queste ed altre connesse considerazioni, la sentenza della Corte: -cassa la decisione di appello in quanto ha ritenuto di ammettere al passivo il lavoratore per le retribuzioni non percepite nel periodo di sospensione del rapporto di lavoro determinata dall’intervenuto fallimento dell’impresa datrice di lavoro; - impegna il giudice a cui rinvia la causa ad ammettere il lavoratore al passivo del fallimento con riferimento ai crediti maturati successivamente al licenziamento dichiarato illegittimo.

 

A cura di Fieldfisher