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Cassazione: anche in caso di chiusura dell’azienda il datore è obbligato a fare la comunicazione finale alle organizzazioni sindacali


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Con l’ordinanza n. 89 del 04.01.2019, la Cassazione afferma che, al termine di una procedura di licenziamento collettivo, la comunicazione finale, inerente al nominativo dei lavoratori in eccedenza ed alle modalità di applicazione dei criteri di scelta, deve essere soddisfatta anche in caso di totale cessazione dell’attività aziendale, posto che la chiusura dell’impresa non rende priva di utilità la funzione di controllo riservata alle organizzazioni sindacali.

Il fatto affrontato

I lavoratori impugnano giudizialmente il licenziamento collettivo loro irrogato per cessazione totale dell’attività, stante la mancata comunicazione conclusiva della relativa procedura alle organizzazioni sindacali.
La Corte d’Appello respinge la predetta domanda, sul presupposto che il rispetto della previsione normativa circa la comunicazione finale con il nominativo dei lavoratori in esubero e le modalità di selezione dei dipendenti in eccedenza era irrilevante, dal momento che il recesso interessava la totalità dei lavoratori occupati dall’impresa.

L’ordinanza

La Cassazione, ribaltando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che, anche in ipotesi di licenziamento collettivo per cessazione dell’attività, la violazione del termine di sette giorni per le comunicazioni di cui all'art. 4, comma 9, della l. 223/1991, determina l'illegittimità del recesso e la sanzione del pagamento dell'indennità risarcitoria a carico del datore.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, l'assimilazione della cessazione di attività alle ipotesi di licenziamento collettivo per "riduzione o trasformazione di attività o di lavoro" è coerente con la ratio posta alla base della legge.

Ulteriormente, per la sentenza, l’utilità del controllo finale sull’applicazione dei criteri di scelta e sul nominativo dei lavoratori in esubero permane altresì davanti ad una chiusura aziendale, posto che anche in tale ipotesi va verificata la possibilità di ridurre le conseguenze della crisi di impresa sui livelli occupazionali.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dai lavoratori, riconoscendo l’illegittimità dei recessi loro irrogati con conseguente diritto ad ottenere l’indennità risarcitoria prevista ex lege.

A cura di Fieldfisher