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Si può licenziare il lavoratore che rifiuta di vaccinarsi?


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La tematica concernente la vaccinazione anti COVID-19 è sicuramente una di quelle più in auge in questo periodo.
È accesa la diatriba tra coloro i quali vorrebbero renderla obbligatoria - al fine di perseguite il tanto agognato obiettivo dell’immunizzazione di massa - e chi, diversamente, vorrebbe lasciare la decisione di vaccinarsi al libero arbitrio delle singole persone.
Detta discussione non risparmia sicuramente il mondo del lavoro e la domanda che, da più parti, ci si pone è: si può licenziare il lavoratore che rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione?

 

1. I soggetti potenzialmente interessati

I soggetti che ad oggi risultano potenzialmente interessati da un eventuale obbligo di vaccinazione non sono tutti i lavoratori dipendenti.
A tal fine, infatti, giova rilevare che il rischio da COVID-19 si caratterizza – nella quasi totalità dei casi – per essere un rischio biologico generico, di origine, dunque, esogena rispetto all’organizzazione dell’impresa.
Fanno eccezione a ciò gli ambienti di lavoro sanitari, per i quali il rischio da COVID-19 è ritenuto, invece, un rischio specifico.
Ad oggi, pertanto, appare corretto affermare che l’argomento di cui si discerne riguardi (quasi) esclusivamente le professioni sanitarie, ritenendosi di dover escludere un obbligo, anche solo potenziale, per tutti i lavoratori che si trovino ad operare in ambienti in cui il rischio da COVID-19 è considerato generico.

 

2. Il quadro normativo

Il quadro normativo prevede, da un lato, l’art. 2087 c.c. che – quale norma di chiusura – impone al datore di lavoro di assicurare le migliori misure di sicurezza garantite dalla tecnica per proteggere i propri dipendenti. E ad oggi non v’è dubbio che il vaccino risulta lo strumento più efficace per contrastare la pandemia.
Laddove il datore non adempia all’obbligo di sicurezza dettato dal citato art. 2087 c.c., rischia di essere considerato responsabile – non solo civilmente, ma anche penalmente – per eventuali contagi che dovessero scaturire in ambito aziendale (sul punto si veda: La sicurezza nei luoghi di lavoro ai tempi del COVID-19).
I fautori della tesi più rigorista vorrebbero, quindi, far leva su tale assunto per imporre la vaccinazione.
Giova, tuttavia, sottolineare che la responsabilità datoriale, sotto questo aspetto, risulta ancorata al rispetto dei c.d. Protocolli di sicurezza anti-contagio sottoscritti con le parti sociali, i quali - attualmente e fino ad un eventuale aggiornamento - non prevedono alcun obbligo di somministrazione del siero vaccinale (sul punto si veda: La Gestione del rischio da Covid-19 in azienda e Nuove istruzioni INAIL, bisognerà aggiornare i protocolli COVID?).

Dall’altro lato, vi è un precetto costituzionale che viene utilizzato a fondamento dell’opposta tesi che propende per l’assenza di un obbligo.
L’art. 32 Cost., infatti, al secondo comma stabilisce il principio per cui nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Disposizione che – come noto – ad oggi risulta assente.

Una risposta utile, per dirimere la diatriba, allo stato attuale può fornircela il D.Lgs. 81/2008, Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro.
Perché se, da un lato, è vero che detta norma sembra non approfondire più di tanto la tematica delle vaccinazioni, limitandosi a prescrivere al medico competente di fornire adeguata informazione sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione (art. 279, comma 5), dall’altro, sposta l’onere di agire sul tema dei vaccini dal datore di lavoro al medico competente stesso.

 

3. Il ruolo centrale del medico competente

Alla luce del quadro normativo sopra delineato, assume un’importanza strategica la figura del medico competente, che – è bene ricordarlo – risulta essere sempre essenziale nel sistema di prevenzione e tutela della salute dei dipendenti.

Il medico competente, infatti, ai sensi dell’art. 41 del TU sulla sicurezza, può valutare se per alcune attività specifiche il rifiuto del vaccino possa compromettere l’idoneità del lavoratore alla mansione.
Il relativo giudizio può essere formulato nell’ambito della sorveglianza sanitaria che ogni azienda è tenuta ad attuare, su richiesta dal datore di lavoro o durante i controlli periodici.
Giudizio che il medico deve formulare, ovviamente, senza condizionamenti da parte del datore e che deve riguardare la compatibilità tra la mancata vaccinazione del dipendente e la mansione specifica alla quale è assegnato.
L’esito del giudizio potrebbe essere positivo o meno a seconda della specifica attività svolta dal prestatore: così, ad esempio, potrebbe essere ritenuta ininfluente la mancata somministrazione del siero per un impiegato che non opera a contatto con i colleghi e con il pubblico, mentre potrebbe essere giudicato parzialmente o totalmente inidoneo allo svolgimento della professione sanitaria il lavoratore non vaccinato.

Peraltro, la centralità del ruolo del medico competente è stata ribadita anche dal Garante della Privacy che – in alcune FAQ pubblicate di recente – ha escluso che il datore possa assumere direttamente informazioni in merito alla vaccinazione dei propri dipendenti.
Lo stesso organo ha, poi, sottolineato che il medico competente - una volta assunte tutte le informazioni necessarie - può esprimere un giudizio generico di idoneità/inidoneità alla mansione, che come tale non lede il diritto alla riservatezza del lavoratore (sul punto si veda: Garante Privacy - Covid-19 : Le FAQ sulla vaccinazione dei dipendenti).

 

4. Una soluzione percorribile

Ma quali sono le conseguenze scaturenti da un eventuale giudizio di inidoneità rilasciato dal medico competente?
Anche sul punto lo dottrina giuslavoristica si è divisa.

Tutti concordi sul fatto che il datore debba, preliminarmente, valutare se vi sia la possibilità di svolgere la prestazione in regime di lavoro agile e in subordine, laddove ciò non sia fattibile, la possibilità di adibire il lavoratore interessato ad altre mansioni.
In caso di risposta affermativa la strada da percorrere deve essere sicuramente questa.

I problemi sorgono, invece, nell’ipotesi in cui il datore non rinvenga, all’interno della propria organizzazione, una diversa mansione cui adibire il dipendente.
In assenza di un intervento legislativo ad hoc, sembra da escludersi la possibilità di procedere ad un licenziamento, che nel nostro ordinamento rappresenta sempre una extrema ratio.

Una soluzione mediana che potrebbe essere – allo stato attuale – adottata (seppur non senza incertezze) è, allora, quella della sospensione temporanea del lavoratore interessato dal servizio e dalla retribuzione.

 

5. Uno sguardo comparato

Detta situazione, ovviamente, non sta riguardando soltanto l’Italia, ma interessa un po' tutti i Paesi del mondo.

Alcuni Stati europei– quali Francia e la Germania – si trovano nella nostra stessa situazione, in cui non essendovi una apposita norma di legge non si può imporre la vaccinazione ai lavoratori.

I legislatori di altre nazioni extra-europee hanno, invece, previsto un obbligo per legge per determinate categorie (come avvenuto in Russia) o l’imposizione della vaccinazione ogniqualvolta la mancata somministrazione del siero costituisca un pericolo diretto per gli altri lavoratori (come avvenuto negli Stati Uniti).

Interessante appare, poi, il modello utilizzato dal piccolo Stato della Città del Vaticano, che ha stabilito che le Autorità competenti – al fine di tutelare il lavoratore individualmente e la collettività – possano avviare una profilassi di massa, prevedendo sanzioni che arrivano sino al recesso per i soggetti che si rifiutino senza motivazione (sul punto si veda: La disciplina dell’obbligo vaccinale nello Stato della Città del Vaticano).

 

6. Considerazioni finali

Su tali presupposti, allo stato attuale non può esservi una risposta univoca e certa alla domanda che ci siamo posti all’inizio della presente trattazione.
Siamo nella classica situazione in cui non vi è la certezza del diritto.
La soluzione, per tutti, auspicabile è quella di un intervento legislativo ad hoc che ponga fine ai numerosissimi dubbi che sono sorti a tutti coloro che, a vario titolo, si sono scontrati negli ultimi mesi con questo scottante argomento.

Sia la prassi che la giurisprudenza hanno, invero, richiesto un intervento normativo.
Sul punto, appare illuminante riportare due esempi:
- una recente pronuncia del Tribunale di Messina che, chiamato a pronunciarsi sull’obbligo di sottoporsi al vaccino antinfluenzale imposto - in pendenza della pandemia da COVID-19 - ai sanitari siciliani, ha statuito che un obbligo del genere possa derivare solo dalla leggge nazionale (sul punto si veda: Tribunale di Messina: illegittimo l’obbligo di vaccinazione antinfluenzale imposto ai sanitari);
- una nota INAIL che ha ribadito la copertura infortunistica in caso di contrazione del coronavirus da parte di un lavoratore che non abbia aderito alla profilassi vaccinale; dovendosi escludere la predetta copertura soltanto in caso di infortunio doloso: circostanza questa non rinvenibile in assenza di un obbligo normativo alla vaccinazione (sul punto si veda: INAIL - Nota n. 2402/2021: La posizione sul rifiuto al vaccino - Tutela assicurativa anche per i NO VAX).

In conclusione, quindi, rimaniamo in attesa che il legislatore italiano intervenga in maniera compiuta e stabilisca – fugando qualsivoglia dubbio interpretativo ed applicativo – una disciplina completa che vada a toccare tutte le sfaccettature che la complicata fattispecie presenta, sì da evitare l’ingenerarsi di numerosi contenziosi.

Avv. Matteo Farnetani - Fieldfisher