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Appalti – Il termine decadenziale della responsabilità solidale del committente


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Negli appalti, il lavoratore che vanta dei crediti retributivi e previdenziali insoluti nei confronti dell’appaltatore può rivalersi sul committente - appaltante in base al principio di responsabilità solidale ( appalti - art. 29, c. 2, d.lgs. 276/2003 ). Qual è il termine decadenziale dell’azione giudiziaria di responsabilità solidale fatta valere dai dipendenti dell’appaltatore nei confronti del committente? Il termine è vincolante tanto per i lavoratori quanto per gli enti previdenziali?


In tema di appalti:

Criteri di valutazione degli appalti genuini
Min. Lavoro – Circ. n. 5/2011: Appalti - il quadro giuridico e valutazione della genuinità.
INL – Circ. n. 10/2018: Art. 29, c. 2, d.lgs. 276/2003- Appalti illeciti - inadempienze retributive e contributive.
Min. Lavoro – Interpello n. 5/2018: Appalti – Nessuna deroga alla responsabilità solidale.
Cambio appalto e trasferimento d’azienda nell’art 29, c 3, d.lgs. 276/2003: una distinzione non sempre agevole
Tribunale di Milano: la responsabilità solidale è applicabile anche ai contratti atipici assimilabili all’appalto.


1. L’azione nei confronti del committente e il termine biennale di decadenza

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 2020/2017 del 16 gennaio 2018, ribadisce il principio – già affermato dalla medesima Corte in sue precedenti decisioni – per cui il termine biennale di decadenza, previsto dalla normativa in materia di responsabilità solidale del committente verso i dipendenti dell’appaltatore (art. 29, c. 2, d.lgs. 276/2003), è vincolante tanto per i lavoratori quanto per gli enti previdenziali.

Si tratta di un principio nient’affatto pacifico: in attesa di un intervento chiarificatore da parte della Corte di Cassazione, infatti, si rinvengono sia pronunce che aderiscono alla posizione della Corte meneghina (Trib. Torino, 18 ottobre 2012), sia pronunce di segno opposto (Trib. Forlì, 11 novembre 2011), secondo le quali per gli enti varrebbe non già il termine decadenziale, bensì il diverso termine di prescrizione dei contributi previdenziali.

Il primo dei due orientamenti, fatto proprio dalla Corte milanese, appare maggiormente convincente. Innanzitutto, a far propendere per la tesi della soggezione (anche) degli enti previdenziali al termine biennale di decadenza, è la formulazione letterale della norma.

L’articolo 29, c. 2, d.lgs. 276/2003 (secondo cui “il committente è obbligato in solido con l’appaltatore … entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi … nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”), infatti, fa riferimento esclusivamente ai lavoratori, mentre omette qualsiasi richiamo agli enti previdenziali, con ciò rendendo palese che i destinatari della tutela sostanziale scaturente dall’obbligo solidale in capo al committente sono solo i lavoratori: è nell’interesse di questi ultimi che il legislatore ha introdotto una disciplina speciale in base alla quale, in deroga alle regole generali, l’obbligo di versare i contributi previdenziali è esteso ad un soggetto diverso dal datore di lavoro (su cui quell’obbligo normalmente incombe), ma entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto.

Sempre il testo legislativo consente di evincere come l’intrabiennalità rappresenti un presupposto oggettivo della solidarietà, cioè un vero e proprio elemento costitutivo della fattispecie (com’è stato rilevato in dottrina: vds. De Angelis, Responsabilità solidale nell’appalto e processo, in WP CSDLE “Massimo D’Antona” IT – 314/2016, in ll e 2016, p. 9). In altre parole, la norma prevede un regime speciale vincolato alla decadenza biennale, di modo che la responsabilità solidale del committente, sia per i crediti retributivi sia per i contributi previdenziali, intanto sussiste in quanto l’azione di recupero venga esercitata entro due anni dalla cessazione dell’appalto.

 

2. La tesi della non applicabilità della decadenza agli enti previdenziali.

In senso contrario alla tesi fatta propria dalla Corte di Milano, si sostiene che la norma avrebbe menzionato i lavoratori (e non gli enti) perché avrebbe inteso vincolare proprio costoro al termine di decadenza: il silenzio sugli enti previdenziali andrebbe inteso, quindi, nel senso che a questi ultimi si applicherebbe non il regime speciale della decadenza, bensì quello ordinario della prescrizione.

L’argomento presenta diversi profili di debolezza.

In primo luogo, esso comporta la necessità di individuare come destinatari sostanziali della tutela due categorie di soggetti, ossia i lavoratori e gli enti previdenziali, nonostante il fatto che solo i primi sono menzionati dalla norma: il che pare, francamente, una forzatura non piccola.

In secondo luogo, va ricordato come la richiesta di versamento dei contributi previdenziali possa essere avanzata non solo dagli enti previdenziali, ma anche direttamente dai lavoratori: per giurisprudenza costante, infatti, “il lavoratore ha un vero e proprio diritto soggettivo al regolare versamento dei contributi previdenziali in proprio favore”, azionabile nei confronti del datore di lavoro che lo abbia pregiudicato (tra le molte pronunce che hanno affermato questo principio si vedano Cass. 15 settembre 2014, n. 19398, Cass. 6 luglio 2002, n. 9850, Cass. 23 novembre 1989, n. 379).

Pertanto, a voler seguire l’orientamento in discorso, si giungerebbe alla conclusione che il diritto del lavoratore alla posizione contributiva fruirebbe di una tutela (assoggettata al termine di decadenza) differente e autonoma rispetto a quella dell’ente previdenziale di ottenere il pagamento dei contributi previdenziale: conclusione palesemente irrazionale, considerato che il diritto di azione del lavoratore è un diritto strumentale e derivato rispetto al diritto di credito dell’ente previdenziale che ne costituisce l’indefettibile presupposto. È molto più agevole e lineare ritenere che la menzione dei lavoratori da parte dell’art. 29, c. 2, d.lgs. 276/2003, oltre a spiegarsi in quanto finalizzato a individuare nei lavoratori gli unici destinatari sostanziali della tutela, trova un’ulteriore giustificazione nell’intenzione di assoggettare al termine decadenziale qualsivoglia azione da essi esperita nei confronti del committente, sia quella di recupero delle retribuzioni sia quella a tutela della posizione contributiva. Con ciò dovendosi ritenere che anche il diritto di credito sussistente in capo all’ente previdenziale – che costituisce, come si è detto, il presupposto di quello dei lavoratori – è assoggettato al medesimo regime.

Ancora, l’argomento contrario alla tesi della Corte milanese comporterebbe una differenziazione radicale della tutela dei lavoratori rispetto a quella degli enti, perché:

- con riferimento ai trattamenti retributivi e ai contributi previdenziali, richiesti dai lavoratori, sarebbe stata disposta una regola speciale, in base alla quale la richiesta può essere rivolta al committente, oltre che al datore di lavoro, ma entro il limite di due anni;

- con riferimento ai contributi previdenziali richiesti dagli enti previdenziali, sarebbe stata sancita la piena equiparazione tra committente e datore di lavoro appaltatore.

Invece il legislatore ha inequivocabilmente disposto un unico regime applicabile tanto ai trattamenti retributivi quanto ai contributi previdenziali.

 

3. Gli argomenti a favore della applicabilità del termine decadenziale agli enti previdenziali.

Milita nel senso dell’applicabilità della intrabiennalità agli enti previdenziali anche il carattere eccezionale della responsabilità del committente. Tale responsabilità, infatti, costituisce una garanzia aggiuntiva apprestata dall’ordinamento a carico di un soggetto che semplicemente si avvantaggia della prestazione dei lavoratori (rectius, del servizio reso dall’appaltatore anche tramite i suoi dipendenti), restando estraneo al rapporto di lavoro e al rapporto contributivo, i quali rimangono entrambi in capo all’appaltatore.

In altri termini, il committente non risponde nei confronti degli enti previdenziali in qualità di parte del rapporto contributivo, bensì di soggetto passivo di una responsabilità solidale ex lege che eccezionalmente deroga al principio generale per cui tutte le obbligazioni scaturenti dal rapporto di lavoro, ricadono in capo al datore di lavoro dei soggetti tutelati.

Trattandosi di una deroga, che configura una garanzia aggiuntiva apprestata dall’ordinamento a carico di un soggetto estraneo al rapporto di lavoro e contributivo, ne deriva che l’ente previdenziale che agisce nei confronti del committente sulla base dell’art. 29, c. 2, d.lgs. 276/2003, non esercita il tipico diritto scaturente dal rapporto di lavoro/contributivo, ma esercita un diverso diritto - riconosciuto eccezionalmente da una normativa speciale, la quale, a suo presidio, stabilisce un regime di responsabilità a disciplina unica e infrazionabile.

Viceversa, l’ente rimane indubbiamente titolare delle sue tipiche potestà, che gli derivano dall’esercizio di una funzione pubblica, in relazione a diritti che scaturiscono dal rapporto contributivo di cui è parte passiva il datore di lavoro-appaltatore.

Del resto, non può sorprendere il fatto che il diritto degli enti previdenziali previsto dalla normativa speciale contenuta nell’art. 29, c. 2., d.lgs. n. 276/2003 sia assoggettato a decadenza, se è vero che l’ordinamento contempla altre ipotesi di decadenza a carico degli enti previdenziali, in relazione all’esercizio di diritti scaturenti dal rapporto contributivo con il datore di lavoro. Basti considerare, a tale proposito, il D. lgs. n. 46/1999 in materia di Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, il cui art. 25 stabilisce un termine di decadenza per l’iscrizione a ruolo (e dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 78/2018 - art. 30, per la notifica dell’avviso di addebito) dei “contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali”.

 

4. Ulteriori argomenti contrari all’esclusione degli enti previdenziali dalla decadenza.

La tesi che pretenderebbe di applicare alla riscossione dei contributi previdenziali nei confronti dei committenti di appalti il solo regime generale della prescrizione quinquennale (oltre ad apparire contraria al dettato legislativo) risulta poi contraria all’evoluzione legislativa e agli intenti perseguiti dal legislatore con l’introduzione del d.lgs. 276/2003.

È noto che, con l’introduzione del d.lgs. 276/2003, il legislatore ha inteso superare le rigidità della precedente disciplina di cui alla legge 1369/1960. La legge n. 1369/1960 prevedeva:

- articolo 3: “Gli imprenditori che appaltano opere o servizi […] sono tenuti in solido con quest'ultimo [l'appaltatore, n.d.r.] a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiori a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti […] Gli imprenditori sono altresì tenuti in solido con l'appaltatore, relativamente ai lavoratori da questi dipendenti, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza”;

- articolo 4: “I diritti spettanti ai prestatori di lavoro ai sensi dell'articolo precedente potranno essere esercitati nei confronti dell'imprenditore appaltante durante l'esecuzione dell'appalto e fino ad un anno dopo la data di cessazione dell'appalto”.

Ebbene tale legge è stata abrogata e sostituita dalla disposizione dell’art. 29, co. 2, d.lgs. 276/2003 che sancisce l’obbligo dei committenti di soddisfare i crediti retributivi e contributivi inadempiuti. Dunque, al fine di superare le rigidità della l. 1369/1960, il legislatore del d.lgs. 276/2003 ha circoscritto fortemente l’obbligo solidale in capo al committente:

- eliminando per un verso l’obbligo della parità di trattamento (economico e normativo) tra lavoratori del committente e lavoratori dell’appaltatore;

- limitando la responsabilità solidale ad un determinato arco di tempo;

- disciplinando nella medesima disposizione solidarietà e decadenza, ed escludendo così in radice sia la possibilità di parlare di solidarietà senza decadenza, sia la possibilità di configurare una diversità di disciplina tra crediti retributivi e crediti previdenziali.

Infine, la tesi che esclude l’assoggettamento degli enti previdenziali al termine di decadenza risulta contraria anche alle posizioni espresse dal Ministero del lavoro e dal principale ente previdenziale. Infatti, il Ministero del lavoro, con propria circ. n. 5 del 11.02.2011 ha chiarito che “… Il limite temporale per far valere la responsabilità solidale per il pagamento dei debiti retributivi e contributivi costituisce, dunque, un termine di decadenza per l’esercizio dei relativi diritti. Inoltre, trattandosi di diritti relativi a oneri sia retributivi che previdenziali, la decadenza opera con riferimento all’esercizio della azione non solo da parte del lavoratore, creditore delle somme dovute a titolo di retribuzione, ma anche da parte degli Istituti, creditori delle somme dovute a titolo di contributi. Per quanto riguarda proprio l’aspetto contributivo, si evidenzia tuttavia che il termine decadenziale di due anni si riferisce evidentemente alla azione dell’Istituto nei confronti del responsabile solidale, mentre resta ferma l’ordinaria prescrizione quinquennale prevista per il recupero contributivo nei confronti del datore di lavoro inadempiente (appaltatore o eventuale subappaltatore)” (pag. 7 della circolare).

Mentre l’INPS, nel fornire al proprio personale “indicazioni in merito alla corretta gestione delle obbligazioni nascenti da vincoli di solidarietà”, con mess. n.3523 del 29.02.2012, premetteva che secondo la normativa di riferimento: “… Il committente sarà chiamato a rispondere in solido con l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori, ai sensi del predetto ed innovato art. 29 comma 2, per l’intero importo della contribuzione previdenziale dovuta, escluse le sanzioni civili, ma il vincolo della solidarietà viene meno dopo due anni dalla cessazione dell’appalto. Resta ferma l’ordinaria prescrizione quinquennale prevista per il recupero dei contributi nei confronti dell’obbligato principale (appaltatore o subappaltatore)” (messaggio INPS n. 3523 del 2012, pagg. 1 e 2).

Avv. Antonio Aurilio Fieldfisher