Nel primo trimestre del 2025, il mercato del lavoro italiano ha registrato segnali di crescita che, seppur incoraggianti in termini quantitativi, pongono interrogativi sul piano qualitativo e strutturale. Secondo l’ultimo rapporto trimestrale dell’Istat, pubblicato il 12 giugno, il numero di occupati è aumentato di 141mila unità rispetto al trimestre precedente e di ben 432mila unità su base annua. Un risultato che segna un’accelerazione significativa nel ritmo di creazione dei posti di lavoro, sostenuto da dinamiche positive nei settori dei servizi, della pubblica amministrazione e, in misura minore, nell’industria.
Il tasso di occupazione è salito al 62,3%, con un incremento di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. In termini assoluti, si contano oggi oltre 23,7 milioni di occupati. La crescita ha riguardato entrambe le componenti di genere, con un lieve vantaggio per la componente femminile, che ha beneficiato della ripresa di settori ad alta incidenza di occupazione femminile, come turismo, istruzione e sanità. Tuttavia, il quadro mostra ancora profonde disuguaglianze territoriali, con il Mezzogiorno in ritardo rispetto al Centro-Nord e tassi di occupazione ancora sotto la soglia del 50% in diverse regioni meridionali.
Analizzando la natura dei rapporti di lavoro, emerge che la maggior parte della crescita occupazionale è trainata dai contratti a tempo determinato. Questi sono aumentati di 94mila unità nel trimestre, mentre i contratti a tempo indeterminato hanno registrato un incremento di 44mila unità. I lavoratori indipendenti, invece, sono sostanzialmente stabili, segnando solo un +3mila. Questo dato conferma un trend consolidato nel mercato del lavoro italiano degli ultimi anni: la crescita dell’occupazione avviene in prevalenza in forme contrattuali non stabili, esponendo una parte crescente della forza lavoro a rischi di discontinuità reddituale e scarsa protezione sociale.
Nel dettaglio, l’Istat rileva che l’incremento maggiore si è verificato nella fascia d’età 25-49 anni, mentre la fascia giovanile 15-24 anni, pur migliorando leggermente, continua a registrare i tassi di disoccupazione più alti, intorno al 20,1%. In diminuzione anche il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni, sceso di 123mila unità nel trimestre. Questo dato suggerisce una ripresa della partecipazione al mercato del lavoro, probabilmente spinta da una maggiore fiducia nella possibilità di trovare un’occupazione e da un contesto economico in progressivo miglioramento rispetto alle fasi più acute dell’inflazione energetica e della crisi pandemica.
Sotto il profilo settoriale, i servizi continuano a fare da traino con un incremento di oltre 92mila occupati, seguiti dall’industria in senso stretto (+26mila) e dalle costruzioni (+18mila). In lieve calo l’agricoltura, che perde circa 3mila posti, confermando un andamento negativo già segnalato negli ultimi trimestri. Il settore pubblico, grazie alle recenti campagne di assunzione nella sanità e nella scuola, ha contribuito significativamente all’aumento dell’occupazione stabile, in controtendenza rispetto al settore privato dove prevalgono contratti flessibili o a termine.
Il tasso di disoccupazione complessivo è sceso al 7,1%, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. La disoccupazione femminile si attesta all’8,1%, mentre quella maschile scende al 6,2%. Tuttavia, la componente giovanile rimane la più critica, con una disoccupazione che supera ancora il 20% e picchi superiori al 30% in alcune aree del Sud Italia, come Calabria, Sicilia e Campania. L’Istat segnala inoltre un incremento delle transizioni lavorative, ovvero un maggior dinamismo nei percorsi occupazionali, ma accompagnato da una forte precarizzazione e da un numero crescente di rapporti lavorativi di breve durata.
Altro elemento di attenzione è rappresentato dal crescente mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Le imprese continuano a denunciare difficoltà nel reperire profili tecnici e specializzati, in particolare nei settori dell’informatica, dell’automazione industriale e dell’assistenza socio-sanitaria. Il dato è confermato anche dai centri per l’impiego e dai principali portali di ricerca lavoro, che segnalano migliaia di posizioni aperte non coperte per carenza di competenze. In questo contesto, l’offerta formativa e le politiche attive del lavoro si confermano ancora insufficienti per colmare i divari.
Le dinamiche salariali restano invece stagnanti. L’Istat non ha rilevato incrementi retributivi significativi, nonostante l’aumento dell’occupazione. In molti settori, soprattutto nei servizi a bassa qualificazione, si è assistito a una compressione dei salari reali, erosi dall’inflazione degli ultimi due anni. La crescita del lavoro a termine e part time ha inoltre ridotto la capacità di spesa delle famiglie, alimentando la precarietà reddituale soprattutto nelle fasce giovanili e nei nuclei monoreddito.
L’evoluzione del mercato del lavoro nel primo trimestre 2025 si inserisce in un quadro economico nazionale che mostra segnali di stabilizzazione, con una crescita del PIL stimata attorno all’1,1% secondo le proiezioni più recenti del MEF. Tuttavia, permangono forti incertezze legate al contesto internazionale, alla politica monetaria restrittiva della BCE e alla sostenibilità delle finanze pubbliche. Il rischio, segnalano numerosi analisti, è che la ripresa dell’occupazione possa rivelarsi fragile se non accompagnata da misure strutturali capaci di sostenere la qualità del lavoro, l’innovazione nei processi produttivi e la formazione continua.
Infine, il report Istat ha evidenziato che il tasso di occupazione tra i cittadini stranieri è cresciuto più di quello dei cittadini italiani, confermando una dinamica già presente nel 2023. Questo dato riflette da un lato l’alto tasso di partecipazione al lavoro della popolazione immigrata, dall’altro la concentrazione di questi lavoratori in settori caratterizzati da elevata rotazione e contratti precari, come edilizia, agricoltura e logistica. La componente migrante si conferma dunque essenziale per alcuni comparti produttivi, ma al contempo soggetta a maggiori vulnerabilità occupazionali.