Con l’ordinanza n. 21965 del 30.07.2025, la Cassazione afferma che il rifiuto del lavoratore di ottemperare al provvedimento del datore di trasferimento ad una diversa sede, ove giustificato dalla contestuale assegnazione a mansioni dequalificanti, impone una valutazione comparativa, da parte del giudice di merito, dei comportamenti di entrambe le parti.
Il fatto affrontato
La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per non essersi presentata in servizio presso la sede cui era stata trasferita al rientro da un periodo di cassa integrazione.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, ritenendo giustificata la mancata ottemperanza della dipendente al provvedimento datoriale, non solo perché la stessa era stata in CIG per un periodo più lungo dei suoi colleghi, ma anche perché il trasferimento - che comportava l’assegnazione a mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del livello di inquadramento - era stato intimato, non per esigenze organizzative, bensì a causa dall’antipatia che aveva nei suoi confronti il gestore della sede di originaria adibizione.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva preliminarmente che, nei contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali rientra il contratto di lavoro, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti.
A tal fine, continua la sentenza, va considerato non tanto il mero elemento cronologico, quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede.
Alla luce di ciò, secondo i Giudici di legittimità, in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione, essendo necessaria una valutazione di tutte le circostanze concrete.
Su tali presupposti, la Suprema Corte - a fronte di un complesso di obblighi inadempiuti dalla società - rigetta il ricorso dalla stessa proposto, confermando l’illegittimità dell’impugnato recesso.
A cura di WST