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Lavoro somministrato, durata delle missioni nella giurisprudenza europea e italiana.


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Una questione da tempo discussa, ora oggetto di molteplici interventi giurisprudenziali europei e italiani, riguarda i rapporti fra la regolazione del contratto a termine e la regolazione della somministrazione di lavoro, in particolare per quanto concerne il limite di durata delle missioni di un lavoratore somministrato presso la medesima azienda utilizzatrice.

La Corte di giustizia si è pronunciata più volte, anche di recente ( C - 232/20 del 17 marzo 2022 ), stabilendo due principi rilevanti per la nostra questione.

In primo luogo, la decisone ritiene che il termine ‘temporaneamente’ usato nella direttiva 2008/104 non osta alla messa a disposizione di un lavoratore che ha un contratto con una agenzia interinale presso una azienda utilizzatrice per coprire un posto permanente. Si tratta di una precisazione importante che distingue opportunamente fra carattere del posto e durata del rapporto a termine, distinzione non sempre considerata dalla nostra giurisprudenza.

In secondo luogo, la Corte ritiene che gli artt. 1, paragrafo 1 e 5, paragrafo 5 della direttiva vanno interpretati nel senso che costituisce ricorso abusivo alla assegnazione di missioni successive a un lavoratore somministrato il rinnovo di tali missioni sullo stesso posto presso la impresa utilizzatrice per un durata (nel caso 55 mesi) più lunga di quella che può essere ragionevolmente qualificata temporanea alla luce di tutte le circostanze pertinenti (specificità del settore, contesto nazionale) senza che sia fornita alcuna spiegazione obiettiva del ricorso a questa sequenza di missioni.

La stessa Corte aggiunge che, ove la normativa statale non abbia stabilito una durata determinata (scelta legittima secondo la direttiva) è compito dei giudici nazionali stabilirla caso per caso alla luce di tutte le circostanze pertinenti, al fine di garantire che l ‘assegnazione di missioni successive a un lavoratore temporaneo non sia volta a eludere gli obiettivi della direttiva, in particolare la temporaneità del lavoro tramite agenzia (in tal senso cfr., per tutte, Cass. n. 29570 dell’ 11 ottobre 2022, che richiama varia giurisprudenza della Corte di giustizia europea).

Sulla base di queste decisioni della Corte europea, per affermare una interpretazione conforme del nostro diritto alla direttiva europea, la giurisprudenza italiana, sia di Cassazione sia di merito, ha ritenuto suo compito di assicurare in ogni caso la necessaria temporaneità delle missioni anche a prescindere da una esplicita previsione in tal senso della normativa nazionale (cfr. da ultimo Trib. Milano sentenza 882 del 9/5/2023; Trib. Trieste n. 209 del 14 novembre 2023 ; Cass. N. 23445 del 1/08/2023)

Di conseguenza la giurisprudenza ha stabilito che, ove la reiterazione delle missioni presso lo stesso utilizzatore abbia superato una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea sì da eludere le finalità delle norme comunitarie, debba concludersi per la nullità dei contratti ai sensi dell’articolo 1344 cod. civ. (contratto in frode alla legge) .

Gli argomenti addotti a fondamento di queste decisioni non tengono nella dovuta considerazione la differenza fra contratto a termine e contratti somministrati nè in generale, nè in particolare nelle ipotesi in cui i lavoratori siano legati alla agenzia interinale da un contratto a tempo indeterminato.

Questa differenza è, invece, esplicitamente sottolineata dal considerando n. 15 della direttiva, che, a motivo “della particolare tutela garantita da tale contratto“, (ossia dal contratto di lavoro a tempo indeterminato agenzia/lavoratore) ritiene necessario “prevedere la possibilità di derogare alle norme applicabili nell’impresa utilizzatrice“.

Una indicazione ulteriore si trova nell’ art. 5, n.2 della direttiva ove si stabilisce che gli Stati membri possono prevedere una deroga al principio della parità di trattamento fra lavoratori somministrati e lavoratori della impresa utilizzatrice “nel caso in cui i lavoratori legati da un contratto a tempo indeterminato a una agenzia interinale continuino a essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra”.

Entrambe tali indicazioni sono giustificate dalla medesima ratio, cioè dalla particolare garanzia che il rapporto senza termine prefissato con la agenzia offre al lavoratore.

Tale garanzia è ampiamente comprovata dalla esperienza storica delle nostre agenzie, la cui attività imprenditoriale permette ai lavoratori somministrati di ottenere occasioni di lavoro più frequenti e maggiori opportunità di stabilizzazione della media dei lavoratori a termine[1].

La garanzia è particolarmente forte quando il lavoratore sia assunto dalla agenzia a tempo indeterminato, perché qui la stabilità è assicurata dallo stesso contratto con la agenzia.

Questa circostanza è una di quelle fondamentali di cui, secondo la Corte di giustizia, occorre tenere conto per decidere con un giusto bilanciamento degli interessi delle parti. A tale circostanza fa riferimento anche il n. 2 dell’ art. 5 della direttiva sopra ricordato per ammettere possibili deroghe al principio di parità di trattamento.

Ora, se una deroga è ammessa a un principio così importante come quello della parità di trattamento, analogamente “a fortiori” dovrebbe essere considerata possibile per quanto riguarda la durata delle missioni presso lo stesso utilizzatore; perché in questo caso la reiterazione delle missioni non pregiudica la stabilità del lavoratore che è assicurata dal rapporto a tempo indeterminato con la agenzia. Per lo stesso motivo, non esiste neppure violazione della ratio della direttiva di evitare rischi di precarietà del lavoro.

Il fatto è che la Corte di giustizia europea non sembra aver considerato questa particolare fattispecie. Anche perché, a quanto risulta, essa non trova molto riscontro in altri Paesi, mentre da noi la pratica delle agenzie si è evoluta nel tempo ampliando alquanto il numero dei dipendenti assunti alle agenzie a tempo indeterminato, che diventano così un patrimonio di risorse fidelizzato e formato utilizzabile per le diverse missioni.

Una nostra giurisprudenza (Trib. Milano n.882, citata), nega la rilevanza di questo carattere della somministrazione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dalla agenzia osservando che comunque tali lavoratori, nei periodi in cui non sono inviati in missione non godrebbero della piena retribuzione ma solo di una indennità di disponibilità.

Ma resta il fatto che in ogni caso i lavoratori hanno garantita la stabilità dell’impiego con la agenzia e quindi non corrono quel rischio di precarietà il cui contrasto è l’obiettivo principale perseguito dalla direttiva e che secondo le indicazioni del considerando citato giustifica una deroga ai vincoli generali di durata delle missioni.

Del carattere stabile del rapporto fra agenzia e lavoratore e della evoluzione delle attività delle agenzie sembra invece avere tenuto conto il nostro legislatore, che ha provveduto nel senso indicato dal considerando della direttiva sopra ricordato quando ha stabilito, nel decreto legge 104/2020 (cd. decreto agosto), che ”l’utilizzatore può impiegare in missione per periodi superiori a ventiquattro mesi anche non continuativi .... il lavoratore somministrato per il quale l’ agenzia abbia comunicato all’utilizzatore la assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò determini in caso all’ utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato. La disposizione di cui al periodo precedente ha efficacia fino al 30 giugno 2025”.

Questa normativa sembra risentire della emergenza Covid, e forse anche per questo è prevista con una durata limitata nel tempo secondo una prassi legislativa ormai diffusa, non sempre a proposito.

Nel merito, si rileva che, se sono fondati i rilievi sopra svolti non c’è motivo di non mettere a regime una simile disposizione che ha una ratio strutturale.

Piuttosto va notato che l’attuale versione della norma esclude la stabilizzazione del lavoratore somministrato presso l’utilizzatore per qualsiasi periodo superiore a 24 mesi, cioè senza limiti temporali massimi.

In vista di una messa a regime della disposizione andrà valutato se mantenere un simile versione, che realizza una deroga sine die alla possibile stabilizzazione del lavoratore presso l’utilizzatore, o se invece non sia più opportuno inserire comunque un limite massimo. Si tratterebbe di una deroga parziale alla regola generale che realizza un diverso e più opportuno equilibrio fra gli interessi delle parti: quello dell’ agenzia di maggiore flessibilità nel ricorso alle missioni e quello del lavoratore di poter essere inserito stabilmente nella azienda utilizzatrice.

Una simile soluzione di ragionevole equilibrio sarebbe opportuna anche al fine di evitare che resti aperto il margine, o la tentazione, per un possibile intervento della Corte di giustizia e dei nostri giudici volto a stabilire essi stessi un limite massimo alla durata delle missioni.

Si potrebbe anche distinguere il caso di successione di brevi missioni, che è quello considerato dai giudici, perché si presta più facilmente ad abusi, dalla ipotesi in cui il lavoratore sia inviato all’utilizzatore per un’unica missione di lunga durata, che potrebbe essere anche senza termine fisso.

a cura di Tiziano Treu e Angelo Pandolfo