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Cassazione: non è necessario che l’Ente affigga il codice disciplinare per sanzionare le violazioni eccedenti il minimo etico


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Con la sentenza n. 28741 del 07.11.2019, la Cassazione afferma che deve ritenersi applicabile anche al pubblico impiego, il principio per cui non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare per il perseguimento delle violazioni che superano i limiti del c.d. minimo etico.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dipendente comunale, impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli a seguito di un procedimento penale che lo aveva visto imputato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
A fondamento della predetta domanda, il medesimo, tra i vari profili di impugnazione del recesso, deduce anche la mancata affissione del codice disciplinare da parte dell’Ente datore.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma che anche nel pubblico impiego contrattualizzato deve ritenersi, relativamente alle sanzioni disciplinari, che - in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale - non sia necessaria l’affissione del codice disciplinare prevista dall'art. 55 del D.Lgs. 150/2009.
Ciò, in quanto il dipendente pubblico, come quello del settore privato, ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, la funzione dell'affissione del codice non è quella di fondare in assoluto il potere disciplinare, ma quella di predisporre e regolare le sanzioni rispetto a fatti di diversa caratura, la cui mancata previsione potrebbe far ritenere che la reazione datoriale risponda a criteri repressivi che, inopinatamente, valorizzino ex post e strumentalmente taluni comportamenti del lavoratore.

Per la sentenza, detta esigenza non ricorre, tuttavia, nei casi in cui la gravità assoluta derivi dal contrasto con il minimo etico, proprio perché il dipendente, in situazioni del genere, non può non percepire ex ante che il proprio comportamento sia illecito e tale da pregiudicare anche il rapporto di lavoro in essere.
In tal senso, conclude la Cassazione, è da intendere la previsione dell'art. 55, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, in tema di pubblico impiego.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità della sanzione espulsiva irrogatagli.

A cura di Fieldfisher