Stampa

Cassazione: violazione dell’obbligo di repechage e reintegra del lavoratore divenuto inidoneo


icona

Con la sentenza n. 26675 del 22.10.2018, la Cassazione afferma che deve essere reintegrato il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica, laddove la società datrice non abbia adempiuto il proprio obbligo di repechage (sul punto si veda: Il repechage nella giurisprudenza).

Il fatto affrontato

La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per sopravvenuta inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni.
A fondamento della propria domanda, la medesima sostiene l’illegittimità del recesso, deducendo che la società non ha espletato l’obbligo di repechage, consistente nella ricerca di soluzioni alternative al licenziamento, anche eventualmente dequalificanti e pertanto comportanti il demansionamento.
La Corte d’Appello accoglie parzialmente il ricorso, riconoscendo alla prestatrice soltanto la tutela indennitaria di cui all’art. 18, comma 5, dello Statuto dei Lavoratori.

La sentenza

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che, in caso di illegittimità del licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore dovuta a violazione dell'obbligo di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute, deve trovare applicazione la tutela reintegratoria attenuata prevista dall'art. 18, comma 4, della l. 300/1970, nella versione novellata dalla c.d. riforma Fornero.

Per i Giudici di legittimità, la tesi contraria affermata dalla sentenza di merito, secondo cui dovrebbe trovare applicazione la c.d. tutela indennitaria forte (art. 18, comma 5, l. 300/1970), risulterebbe in contrasto non solo con la lettera della legge e la ratio della norma, ma anche con principi di rango internazionale.
Aderendo a quest’ultima soluzione interpretativa, infatti, si incorrerebbe in una discriminazione, ritenendo che la violazione dell'obbligo di repechage possa determinare una tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per motivi economici e precludendo, invece, tale soluzione in presenza di un lavoratore affetto da inidoneità fisica o psichica.
Discriminazione, questa, che, secondo la sentenza, contrasterebbe con la peculiare tutela riconosciuta dal diritto dell'Unione Europea ai lavoratori con disabilità, mediante la Direttiva n. 78/2000/CE che impone la parità di trattamento, tra prestatori normodotati e portatori di handicap, anche in ordine alle condizioni di licenziamento.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla lavoratrice, riconoscendo il suo diritto ad essere reintegrata.

A cura di Fieldfisher