Con la sentenza del 12.02.2021, il Tribunale di Roma afferma che, in caso di cambio d’appalto, se la clausola sociale impone, al subentrante, soltanto l’onere di avviare una negoziazione, la stessa non dà ai lavoratori coinvolti alcun diritto di riassunzione.
Il fatto affrontato
Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento per g.m.o. irrogatogli a seguito del cambio d’appalto presso cui era adibito.
Il medesimo chiede la condanna dell’appaltatore uscente al versamento dell'indennità economica prevista dal D.Lgs. 23/2015 in caso di recesso illegittimo e dell’appaltatore subentrante all’assunzione, per effetto della clausola sociale prevista nel CCNL applicato.
La sentenza
Il Tribunale di Roma rileva, preliminarmente, che il cambio appalto non costituisce un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Indi per cui, la Società uscente – originaria datrice di lavoro – è gravata da un rigoroso onere probatorio sia in ordine alla effettiva soppressione del posto di lavoro che alla possibilità di ricollocare il dipendente licenziato in altre mansioni (c.d. repêchage).
Per il Giudice, invece, detto onere non deve essere assolto dalla nuova appaltatrice nel caso in cui la clausola sociale preveda soltanto un semplice onere di avviare una negoziazione.
In tal caso, infatti, la stessa non fa sorgere, in capo al dipendente, il diritto soggettivo al posto di lavoro alle dipendenze della società subentrata nell’appalto.
Secondo la sentenza, infine, anche nel caso in cui l’appaltatore uscente sia sottoposto a fallimento, per la domanda volta a decidere in ordine alla legittimità del recesso e al diritto di essere riassunto dall’appaltatore subentrante permane è competente il Giudice del Lavoro.
Su tali presupposti, il Tribunale di Roma accoglie il ricorso, limitatamente alla illegittimità del licenziamento, riconoscendo al lavoratore l’indennità risarcitoria di cui al D.Lgs. 23/2015.
A cura di Fieldfisher