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Cassazione: quando può dirsi illegittimo un appalto endoaziendale?


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Con l’ordinanza n. 32450 del 22.11.2023, la Cassazione ribadisce il principio secondo cui un appalto endoaziendale può dirsi illegittimo ogniqualvolta l’appaltatore non provveda ad una reale organizzazione della prestazione finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, né assuma un concreto rischio economico.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, da sempre addetto al medesimo appalto, ricorre giudizialmente al fine di chiedere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società committente.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, non essendovi prova di una diretta gestione del rapporto di lavoro del ricorrente da parte dell’azienda appaltante.

L’ordinanza

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti "endoaziendali", caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore-datore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto.

Per la sentenza, detta situazione non si integra, invece, nell’ipotesi in cui l’appaltante eserciti solo i poteri di controllo sul risultato.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, non può ritenersi preclusa al committente una verifica, secondo modalità predeterminate, dell'esecuzione del servizio appaltato.

Rinvenendo solo quest’ultima circostanza nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore e conferma la legittimità dell’appalto.

A cura di Fieldfisher