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Corte di Giustizia Europea: non va annullata la Direttiva che rafforza i diritti dei lavoratori distaccati


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Nelle conclusioni rassegnate, il 28.05.2020, nella causa C-620/18, l’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sostiene la legittimità della Direttiva che rafforza i diritti dei lavoratori distaccati, in quanto adottata su una base giuridica adeguata e non lesiva delle libertà degli Stati membri (sul punto si veda: Corte di Giustizia Europea: le sanzioni in caso di distacco irregolare dei lavoratori).

Il fatto affrontato

L’Ungheria e la Polonia hanno promosso vari ricorsi dinanzi alla Corte di Giustizia – riuniti nella causa C-620/18 – al fine di chiedere l’annullamento totale od, in subordine, parziale della Direttiva 2018/957, recante modifiche alla Direttiva 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (sul punto si veda: Parlamento UE – Lavoratori distaccati in paesi UE: avanza l’iter di approvazione della direttiva).
In particolare, l’impugnata Direttiva:
- garantisce ai lavoratori distaccati una maggiore protezione per quanto riguarda aspetti essenziali del rapporto, quali la retribuzione ed i diritti sociali;
- impone che le condizioni di lavoro rispettino le norme applicabili nello Stato membro in cui i prestatori sono stati distaccati;
- richiede che, quando i lavoratori vengono distaccati per un periodo superiore a 12 mesi, si applichino loro le stesse condizioni di lavoro e di occupazione applicabili ai prestatori dello Stato membro ospitante.

Le conclusioni

L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nelle sue conclusioni, sottolinea che:

- la Direttiva 2018/957 è stata adottata impiegando la base giuridica adeguata. Infatti, la stessa persegue un duplice obiettivo: da un lato, garantire che le imprese possano eseguire prestazioni transnazionali di servizi spostando lavoratori dal proprio Stato di stabilimento e, dall’altro, tutelare i diritti dei lavoratori distaccati, impedendo, così, la concorrenza sleale fra le imprese, derivante dai diversi livelli di tutela esistenti fra i Paesi membri;

- la Direttiva si limita a coordinare l’applicazione delle normative lavoristiche concorrenti del Paese ospitante e di quello di origine, non fissando in nessun caso gli importi dei salari da pagare e non incidendo, quindi, negli ambiti di competenza degli Stati membri. In forza di ciò, alcuni elementi della retribuzione dei lavoratori distaccati continuano ad essere diversi da quelli della retribuzione dei prestatori locali e, pertanto, non spariscono del tutto i vantaggi competitivi delle imprese di Paesi europei con un costo del lavoro inferiore che distaccano i dipendenti verso Stati membri con un costo del lavoro superiore;

- nell’impugnata Direttiva, il legislatore dell’UE si è attenuto ai requisiti del principio di proporzionalità e non ha manifestamente oltrepassato il suo ampio potere discrezionale nel contesto della regolamentazione dei distacchi transnazionali di lavoratori. In particolare, risponde al predetto principio la regolamentazione dei lavoratori distaccati di lunga durata (12 o 18 mesi), che comporta restrizioni alla libera prestazione di servizi del tutto proporzionate ed è giustificata da una situazione di più intensa integrazione dei prestatori distaccati nel mercato del lavoro dello Stato ospitante.

Secondo le conclusioni in commento, infine, l’obiettivo del legislatore europeo di rafforzare la protezione dei lavoratori distaccati, risulta del tutto legittimo a fronte della necessità di adeguare la Direttiva 96/71 all’evoluzione dei mercati del lavoro dell’Unione dopo i successivi allargamenti ed in conseguenza della crisi economica del 2008.

Su tali presupposti l’Avvocato generale propone alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di respingere integralmente i ricorsi di annullamento promossi dall’Ungheria e dalla Polonia.

A cura di Fieldfisher