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Cassazione: illegittimo il trasferimento di un gruppo di lavoratori appartenenti alla stessa organizzazione sindacale


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Con la sentenza n. 1 del 02.01.2020, la Cassazione afferma che il trasferimento collettivo di un gruppo di lavoratori appartenenti ad una stessa sigla sindacale costituisce – anche in presenza di legittime esigenze aziendali poste alla base della decisione – condotta antisindacale.

Il fatto affrontato

La O.S. propone ricorso giudiziale ex art. 28, l. 300/1970, al fine di sentir dichiarare il carattere antisindacale della condotta tenuta dalla società.
A fondamento della suddetta domanda, il sindacato ricorrente deduce la natura discriminatoria del trasferimento ad un altro stabilimento aziendale disposto nei confronti dell’80% (17 su 21) dei componenti del proprio direttivo provinciale.
La Corte d’Appello respinge il ricorso, sostenendo che, da un lato, era stata dimostrata l’effettività delle esigenze aziendali poste alla base del trasferimento e, dall’altro, il solo dato numerico non era sufficiente a provare la realizzazione di un effettivo pregiudizio all’interesse della O.S.

La sentenza

La Cassazione - ribaltando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma che, in caso di trasferimento massivo di un gruppo di dipendenti accomunati dall’appartenenza alla stessa sigla sindacale, laddove vi sia un non equivocabile dato statistico dal quale emerga una situazione di forte svantaggio per detto sindacato, scatta per il datore l’obbligo di dimostrare che non sussiste discriminazione.
Si configura, quindi, una parziale inversione dell’onere della prova, dal momento che l’evidenza del dato statistico realizza una presunzione di discriminazione, la quale può essere rimossa solo in presenza di una prova contraria fornita da parte datoriale.

Prova che, chiarisce la sentenza, non può ravvisarsi nella sussistenza di legittime cause poste alla base del trasferimento.
Ciò in quanto la verifica del profilo antisindacale della condotta del datore deve essere valutata non in relazione alle decisioni assunte nei confronti dei singoli lavoratori, bensì in riferimento all’organizzazione sindacale.

Secondo i Giudici di legittimità, dunque, si realizza condotta antisindacale se l’azione datoriale lede oggettivamente gli interessi collettivi della sigla, in quanto l’esigenza di tutelare la libertà sindacale si impone anche in presenza di un’errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della sua condotta.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dalla O.S., dichiarando antisindacale la condotta tenuta dalla società.

A cura di Fieldfisher