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Decreto "Dignità": Quando la realtà supera la fantasia


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Tra i numerosi profili problematici che il cd. “ Decreto Dignità ” ha sollevato, sul piano interpretativo, fin dalla emanazione del D.L. n. 87/2018, una menzione specifica meritano quelli posti dal “regime transitorio” introdotto, e poi a sua volta modificato, allo scopo di coordinare il passaggio dal medesimo decreto-legge alla legge n. 96/2018, che ne ha disposto la conversione con rilevanti modifiche.


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Che il “regime transitorio” scaturitone fosse a dir poco barocco e irto di asperità esegetiche era stato prontamente segnalato fin dai primi commenti dottrinali e professionali, puntualmente anticipati, con le modalità più varie, sul web.

Ma, come qualcuno ha detto, “la realtà supera la fantasia perché il caso va oltre ogni immaginazione”: ed eccovi allora un caso reale da incorniciare.

Il caso è quello di un ristorante milanese che, nell’ambito di rinnovi e proroghe del contratto a tempo determinato di un proprio dipendente, si è vista costretta, nello spazio di pochi mesi, ad applicare prima la disciplina del D.lgs. n. 81/2015 (anche Jobs Act), poi quella prevista dal “ Decreto Dignità ”, e infine, nuovamente, quella del Jobs Act. Ma andiamo con ordine.

La problematica disciplina del regime transitorio.

Il D.L. 12.07.2018, n. 87 (c.d. “ Decreto Dignità ”) ha introdotto rilevantissime restrizioni al ricorso al lavoro subordinato a tempo determinato; restrizioni che, ai fini della presente nota, possono essere così sintetizzati:

a) riduzione a 12 mesi della durata massima del contratto a tempo determinato a-causale (comprensivo di proroghe);
b) possibilità di stipulare un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, solo in presenza di causali tassative, restrittive, e rigide, perché non derogabili neanche dalla contrattazione collettiva; e nel limite di durata massima di 24 mesi;
c) possibilità di rinnovare il contratto o di prorogarlo fino a 24 mesi complessivi, soltanto in presenza delle predette causali;
d) possibilità di prorogare il contratto, nei limiti e alle condizioni predette, per non più di 4 volte;
e) allungamento del termine di decadenza per l’impugnazione stragiudiziale, da 120 a 180 giorni.

Il D.L. n. 87/2018, entrato in vigore il 14.07.2018, recava una norma transitoria, a tenore della quale la nuova disciplina in materia doveva applicarsi “ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data” (art. 1, co. 2).

La legge di conversione, n. 96/2018, entrata a sua volta in vigore il 12.08.2018, ha parzialmente modificato la predetta disciplina transitoria , prevedendo l’applicazione della nuova disciplina “ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe contrattuali [successivi al 31 ottobre 2018]”.

Pertanto, dalla successione di leggi e relative norme transitorie emerge che:

  • prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 87/2018 (ossia fino al 13.07.2018) trova applicazione la disciplina del Jobs Act
  • dall’entrata in vigore del D.L. n. 87/2018, fino all’entrata in vigore della legge di conversione (ossia dal 14.07.2018 all’11.8.2018) trova applicazione la disciplina dello stesso decreto legge, senza le modifiche apportate dalla legge di conversione;
  • dall’entrata in vigore della legge di conversione fino al nuovo termine stabilito dalla norma transitoria, come modificata dalla legge di conversione (ossia dal 12.8.2018 al 31.10.2018), trova nuovamente applicazione il Jobs Act;
  • dal 1.11.2018 troverà applicazione il D.L. n. 87/2018, con le modifiche introdotte dalla legge di conversione (o, detto in altri termini, trova applicazione la legge n. 96/2018).

Eterogenesi nei fini.

Nel caso del nostro ristorante milanese, il dipendente era stato assunto a tempo determinato dal 27.10.2017 al 22.12.2017, con un primo rinnovo dal 4.1.2018 al 31.3.2018, e una successiva proroga del termine fino al 10.8.2018, il tutto a norma del Jobs Act, nel testo allora vigente.

Con l’approssimarsi della scadenza del 10.8.2018, non potendo procedere alla conversione del contratto a tempo indeterminato per ragioni organizzative, il datore di lavoro comunicava al proprio dipendente che sarebbe stato costretto a limitare il successivo ed ultimo rinnovo fino al compimento della durata complessiva di 12 mesi, essendo nel frattempo entrato in vigore il “ Decreto Dignità ”. Pertanto prorogava il contratto fino al 26.10.2018.

Due giorni dopo la sottoscrizione della proroga, la legge di conversione differiva il termine di entrata in vigore delle norme del “ Decreto Dignità ” in materia di proroghe e rinnovi, al 1.11.2018, facendo, pertanto, rivivere fino a tale data la disciplina del Jobs Act.

La kafkiana vicenda ha registrato, pertanto, un lieto fine: il contratto a termine del lavoratore è stato prorogato fino alla durata massima di 24 mesi, e il datore di lavoro non è stato costretto ad attivarsi in dispendiose attività di ricerca di personale sostitutivo, che avrebbe comunque assunto sempre a termine, presumibilmente con un contratto-acausale annuale.

Fà un po’ pensare che il lieto fine si sia potuto verificare solo perché è stato possibile non applicare il “ Decreto Dignità ”.

A cura di Jacopo Calanchi – Avv. Fieldfisher