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Decreto dignità: esigenze sostitutive nel contratto a termine


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In attesa della conversione in legge del Decreto dignità, si riflette sulla nuova disciplina del contratto a tempo determinato con particolare riguardo alle esigenze sostitutive giustificatrici dell’apposizione del termine al contratto. In particolare, ci si concentra sulla questione del mancato coordinamento fra la durata massima del termine e la possibile durata dell’assenza del lavoratore da sostituire.

1.Le esigenze sostitutive: un po’ di storia.

Il “decreto dignità” reintroduce le causali intese come situazioni aziendali capaci di legittimare l’estensione della durata del rapporto di lavoro a tempo determinato. Scelta che sta suscitando molte e più che ragionevoli obiezioni. Non è, tuttavia, dedicata la dovuta attenzione ad una delle causali che il decreto considera: la causale individuata nelle “esigenze sostitutive di altri lavoratori”. Si tratta di un presupposto già considerato capace di legittimare l’apposizione del termine al contratto di lavoro. La legge n. 230 del 1962, considerata fonte di notevole limitazione del contratto a termine, consentiva l’apposizione del termine nei casi in cui si assumeva “… per sostituire lavoratori assenti per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto sempre che nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”. Non senza conseguenze, Il d.lgs. n.368/2001 consentirà l’apposizione del termine facendo genericamente riferimento a“… ragioni di carattere … sostitutivo”, fino ad arrivare d.lgs. n. 81/2015 che, intervenendo dopo la riforma realizzata in chiave di cosiddetta a-causalità dell’apposizione del termine da parte del “decreto Poletti”, non menziona più le ragioni sostitutive come presupposto di legittimità del termine. La connessione del termine con l’esigenza di sostituire altri lavoratori assenti non perde del tutto rilevanza. Farla emergere, infatti, consente di evitare l’applicazione della maggiorazione contributiva gravante sui datori di lavoro che assumono a termine, sottraendo il contratto dal computo nel numero complessivo massimo di contratti che ciascun datore di lavoro può intrattenere. Così l’esigenza sostitutiva perde la valenza di causale.

1.2. Come si deve indicare il termine?

L’altro profilo della nuova disciplina del contratto a termine, rilevante per quanto riguarda le ragioni di carattere sostitutivo, è legato al modo in cui si è tenuti ad indicare il termine. Da sempre la “apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto”. Dal decreto n.368/2001 fino alla precedente versione dell’art. 19 del d.lgs. 81/2015, si è aggiunto che il termine finale del rapporto di lavoro poteva risultare dall’atto scritto “direttamente o indirettamente”. Nella versione dell’art. 19 rivista dal “decreto dignità”, ci si limita a prevedere che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto”, lasciando cadere il riferimento alla indicazione indiretta del termine. Anche questo è, pertanto, un profilo su cui riflettere.

2. La funzione delle esigenze sostitutive e il mancato coordinamento fra durata del termine e durata dell’assenza.

Per precisare con più dettaglio la funzione che il “decreto dignità” assegna alla casuale “esigenze sostitutive di altri lavoratori”, è utile richiamare le regole che il riformulato art. 19 introduce: a) il termine del contratto di lavoro non può avere una durata superiore a 12 mesi; b) il termine può raggiungere i 24 mesi in presenza delle esigenze sostitutive. Le esigenze sostitutive, dunque, (ri)assumono la funzione di giustificazione del termine e, inoltre, sono chiamate a svolgere la loro funzione di legittimazione del termine entro il ben circoscritto limite temporale massimo di 24 mesi. Ne deriva, innanzitutto, la conseguenza che l’accertamento dell’assenza delle esigenze può comportare la trasformazione del rapporto nato a termine in rapporto a tempo indeterminato. Inoltre, almeno in alcuni casi può incidere la rigida fissazione di 24 mesi applicata anche ai rapporti a termine avviati per sostituire temporaneamente altri lavoratori assenti. Al riguardo, si può fare un esempio. Il contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti dalle aziende metalmeccaniche prevede, ove ricorrano particolari malattie, un comporto definito prolungato di 548 giorni di calendario, a cui può aggiungersi una aspettativa non retribuita prolungabile fino ad un massimo di 24 mesi. Ebbene, in casi del genere, l’azienda, per riflesso del limite rigido fissato per ogni rapporto di lavoro a termine ed esteso anche alle proroghe di ciascun rapporto, dovrà procedere a trovare un nuovo sostituto una volta che quello impiegato inizialmente abbia raggiunto i 24 mesi. Le complicazioni prodotte dalla nuova normativa risulterebbero accentuate qualora l’abbandono, che si è già segnalato, della parola “indirettamente” fosse utilizzato per mettere in discussione la prassi di fissazione indiretta del termine, basata sull’indicazione del termine finale del rapporto a termine tramite il rinvio al momento del rientro del lavoratore da sostituire. Insomma, più ragioni fanno ritenere che anche la disciplina delle ragioni sostitutive introdotta dal decreto richieda aggiustamenti e chiarimenti da parte del Parlamento. Avv. Angelo Pandolfo Fieldfisher