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Corte di Giustizia Europea: è possibile una deroga alle norme sull’orario di lavoro limitata a determinate categorie?


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Con la sentenza emessa, il 04.05.2023, nella causa C-529/21, la Corte di Giustizia UE afferma che il diritto comunitario non impedisce, in linea generale, un’applicazione differenziata della normativa sull’orario di lavoro per alcune categorie ed in presenza di uno scopo legittimo, a condizione, però, che le misure di deroga siano ragionevoli oltre che basate su elementi concreti.

Il fatto affrontato

Alcuni vigli del fuoco ricorro giudizialmente al fine di chiedere un incremento retributivo per aver svolto lavoro notturno per 8 ore nell’arco di una stessa giornata, andando così a superare il limite legale pari a 7 ore al giorno.
Nel costituirsi in giudizio, il ministero dell’interno bulgaro, datore di lavoro dei ricorrenti, eccepisce la sussistenza di un regime speciale per il settore pubblico che prevede la possibilità di fissare in 8 ore e non in 7 il limite del lavoro notturno.
Il Tribunale bulgaro investito della questione, mediante un rinvio pregiudiziale, chiede alla CGUE se detta disparità di trattamento tra i dipendenti del settore pubblico e quelli del settore privato possa costituire una violazione del diritto comunitario in materia di orario di lavoro.

La sentenza

La Corte di Giustizia rileva, preliminarmente, che la Direttiva 2003/88 si applica a tutti i settori di attività e che, salvo per alcune esclusioni espressamente previste dalla stessa, non è possibile limitarne l’applicazione lasciando fuori un intero settore come quello pubblico.

Per i Giudici, ne consegue che lo Stato, in qualità di datore, può prevedere un’applicazione differenziata della normativa comunitaria in materia di orario di lavoro solo per ragioni eccezionali, nei confronti di dipendenti chiamati a svolgere un determinato compito o al verificarsi di eventi improvvisi.

Dunque, continua la sentenza, è possibile prevedere una diversa durata del lavoro notturno tra dipendenti del settore privato e del pubblico impiego, a condizione che tale differenziazione – operata all’esito di una comparazione delle concrete situazioni lavorative – sia fondata su un criterio obiettivo e ragionevole e persegua un legittimo scopo.

Su tali presupposti, la CGUE afferma il principio di diritto secondo cui le diversità di trattamento per essere legittime non devono essere legate a categorie astratte e non devono coinvolgere in modo automatico tutto il settore pubblico.

A cura di Fieldfisher