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Cassazione: quando si integra il reato di caporalato


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Con la sentenza n. 27582 del 16.09.2020, la Cassazione penale afferma che, al fine dell’integrazione del reato di caporalato, non è sufficiente che il dipendente si trovi in una situazione di disagio e di bisogno, essendo necessaria, altresì, la presenza di una soggezione del lavoratore al proprio datore (sul medesimo tema si veda: Tribunale di Milano: lo sfruttamento dello stato di bisogno dei riders integra il reato di caporalato).

Il fatto affrontato

Il legale rappresentate di un’azienda agricola viene condannato per il reato di caporalato, per aver sottoposto sette lavoratori extracomunitari a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno connesso alla situazione di assoluta indigenza.
In particolare, lo stesso, da un lato, aveva riconosciuto ai braccianti – privi di alcuna formazione in materia di sicurezza e sprovvisti di mezzi di protezione – una retribuzione irrisoria (pari a 30 € al giorno a fronte di un orario di 8 ore) e, dall’altro, aveva impedito loro di godere delle giornate di riposo o ferie.

La sentenza

La Cassazione – confermando la statuizione della Corte d’Appello – afferma, preliminarmente, che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, seppur accompagnata da una situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di cui all'art. 603-bis c.p.

Secondo i Giudici di legittimità, tuttavia, tale reato è integrato allorquando, alle predette condizioni, si aggiunga uno stato di sfruttamento del lavoratore. Con ciò intendendosi una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali e retributivi, da profili normativi del rapporto di lavoro, da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro ovvero da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio.

Per la sentenza, nel caso di specie, la situazione di sfruttamento risulta lampante, a fronte non solo della durata oraria della prestazione, della retribuzione e della penosa situazione personale ed abitativa degli operai extracomunitari, ma anche della decurtazione "obbligatoria" di parte non irrilevante del compenso quale corrispettivo per l'accompagnamento in auto presso il luogo di lavoro, dell’omessa fornitura dei dpi ed, infine, della mancata fruizione di un giorno di riposo settimanale.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso dell’imprenditore, confermando la condanna già inflittagli in secondo grado.

A cura di Fieldfisher