Giudizio di primo grado

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La riforma del processo civile : Riflessi sul processo del lavoro


La Legge del 26 novembre 2021 n. 206 ha conferito delega al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi finalizzati alla riforma complessiva del processo civile con l’obiettivo della “semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio.”  

In attuazione di detta Legge Delega, il Governo ha emanato il Decreto Legislativo del 10 ottobre 2022 n. 149 (Riforma Cartabia) che ha introdotto nuove disposizioni e ne ha abrogate altre. 

La Legge di Bilancio 2023, intervenuta in data 29 dicembre 2022, ha modificato la disciplina transitoria già prevista dal D. Lgs n. 149/2022, fissando l’entrata in vigore delle varie disposizioni in momenti diversi. 

1. Giustizia alternativa e controversie di lavoro: la negoziazione assistita (entrata in vigore 28 febbraio 2023) : 

Uno dei profili di maggior interesse della riforma del processo civile concernente direttamente le controversie di lavoro, è connesso con l’inserimento di un nuovo strumento potenzialmente deflattivo del contenzioso, ovvero la “negoziazione assistita”. 

La negoziazione assistita fruisce già dal 2014 di una specifica regolamentazione ad opera della Legge 10 novembre 2014 n. 162. Ora la riforma inserisce nella predetta Legge un nuovo articolo 2-ter intitolato “negoziazione assistita nelle controversie di lavoro”, per le cause di lavoro previste dall’art. 409 c.p.c., tenendo fermo quanto disposto dall’art. 412-ter c.p.c. con riferimento alle modalità di conciliazione ed arbitrato, ma consente alle parti di disporre dei propri diritti anche al di fuori di quelle che fino ad oggi sono state considerate le c.d. sedi protette.

La nuova disciplina fa salve, dunque, esclusivamente le procedure di cui all’art. 412-ter c.p.c., tuttavia, è da ritenere che restino ferme anche le procedure di cui agli artt. 412-quater e 410 c.p.c. e le procedure di certificazione di cui al D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276. 

Trattasi, alla luce della formulazione legislativa, di una facoltà e non di un obbligo, di cui le parti possono avvalersi con l’assistenza dei rispettivi legali. Le parti, inoltre, possono farsi assistere da un consulente del lavoro. 

Gli avvocati insieme alle parti costituiscono, quindi, presenze necessarie della procedura di negoziazione. 

La riforma, pertanto, comporta il superamento del principio per cui i soli soggetti abilitati a supportare il lavoratore siano le commissioni di certificazione, i sindacati, le associazioni datoriali e i giudici, unici fino ad ora in grado di dare carattere definitivo agli accordi tra datori di lavoro e lavoratori. 

Per espressa previsione dell’art. 2-ter, la negoziazione assistita non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. 

Ugualmente, per espressa previsione legislativa, l’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita non è impugnabile secondo la disciplina di cui all’art. 2113, comma 4, c.c. La normativa prevede, altresì, che l’accordo “è trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni ad uno degli organismi di cui all’art. 76 del decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276”. 

Perplessità sono sorte in merito alla finalità di tale trasmissione agli organi di certificazione di cui al citato art. 76, avendo presente che il Legislatore delegato non ha disposto alcuna conseguenza di tale mancato adempimento. 

Alla luce del tenore della norma, si può presumere che la mancata trasmissione agli organi di certificazione non comporti riflessi di alcun tipo rispetto alle pattuizioni raggiunte all’esito della negoziazione, riducendosi ad una mera formalità. 

Anche perché non è previsto che gli organi di certificazione, ricevuto il testo degli accordi, debbano a loro volta procedere ad ulteriori adempimenti. 

Tale interpretazione trova fondamento anche in considerazione del fatto che l’estensione ai detti accordi della disciplina di cui all’art. 2113, comma 4, c.c. è collocata spazialmente dal Legislatore in una previsione che precede e prescinde dalla richiamata trasmissione. 

Si evidenzia, infine, che nella nuova regolamentazione legislativa della negoziazione in materia di controversie di lavoro non sono riprodotte e neppure richiamate disposizioni che il Codice di Procedura Civile dedica alle controversie in materia di lavoro (deposito del verbale di accordo ai fini della sua esecutività; rilevanza del comportamento delle parti in sede di giudizio nell’iter della conciliazione, previsioni inserite nell’art. 411 c.p.c.). 

2. L’abrogazione del c.d. Rito Fornero e la trattazione prioritaria delle cause relative alla reintegrazione del lavoratore (entrata in vigore in data 18 ottobre 2022 applicabile ai giudizi introdotti a decorre dal 28 febbraio 2023). 

Nella già evidenziata prospettiva di semplificazione della disciplina processuale, il Legislatore delegato è, altresì, intervenuto sul processo del lavoro procedendo alla abrogazione del c.d. “rito Fornero” in materia di impugnativa giudiziaria dei provvedimenti di licenziamento. 

In tale panorama legislativo, il Legislatore ha confermato la possibilità del lavoratore di fare ricorso al normale rito ordinario da introdursi con le regole di cui agli artt. 414 e ss. c.p.c. Allo stesso tempo ha introdotto il capo I – bis rubricato “Delle controversie relative al licenziamenti” nel medesimo Codice di Procedura Civile al libro II, titolo IV, dopo il capo I. 

In particolare, il nuovo art. 441-bis c.p.c. introduce un rito specifico laddove si impugni un licenziamento avanzando domanda di reintegrazione nel posto di lavoro. 

Il Legislatore non esclude che nella medesima domanda possano essere avanzate anche questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro. Si può ritenere che rientrino in tale ipotesi domande in cui è chiesto l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro diversamente qualificato e di riflesso il reintegro nel posto di lavoro; rapporti di lavoro non formalizzati di cui si assume la natura subordinata e se ne impugni la cessazione chiedendo la reintegra. 

Passando nel dettaglio della procedura, questa si presenta maggiormente improntata alla celerità e concentrazione dal momento che, tenuto conto delle circostanze dedotte, il giudice può decidere di ridurre i termini del procedimento sino alla metà, nel rispetto comunque del diritto di difesa delle parti. 

Innanzitutto, viene meno la fase sommaria che caratterizzava l’abrogato rito Fornero riducendo in tal modo le fasi del primo giudizio, ma inoltre viene lasciata discrezionalità al giudicante di valutare, sulla base delle ragioni esposte dalle parti, se dimezzare i termini comparizione. 

Senza dimenticare che la norma stabilisce che il giudice è tenuto a dare priorità alla trattazione dei ricorsi, a riservare particolari giorni per la trattazione degli stessi, fissando udienze ravvicinate così assicurando la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria. 

Il comma 1 dell’art. 441-bis c.p.c stabilisce che “La trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto”, proseguendo, nei commi successivi, che tutte le controversie in materia di licenziamento sono assoggettate alla disciplina di cui agli artt. 409 e ss. c.p.c.. 

A ben guardare, la riduzione dei tempi della giustizia è affidata non già alla specialità del rito, quanto alla misura organizzativa, destinata agli uffici giudiziari, della trattazione prioritaria delle cause relative alla reintegrazione del lavoratore, che trova peraltro un concreto strumento attuativo nell’art. 144-quinquies disp. att. c.p.c., rubricato: “Controversie di lavoro”. Tale disposizione statuisce che il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio favoriscono e verificano la trattazione prioritaria di cui al Capo I-bis del Titolo IV del Libro II del Codice di Procedure Civile prevedendo, altresì, per ciascun ufficio giudiziario, l’obbligo di effettuare estrazioni statistiche trimestrali, che consentono di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis c.p.c. rispetto alla durata degli altri processi in materia di lavoro. 

La norma stabilisce, infine, che gli stessi principi si applichino, anche, ai giudizi di appello e cassazione.

3. La domanda di nullità del licenziamento discriminatorio (entrata in vigore in data 18 ottobre 2022 applicabile ai giudizi introdotti a decorre dal 28 febbraio 2023). 

Il nuovo art. 441-quater c.p.c., rubricato “Licenziamento discriminatorio”, introduce la possibilità per il lavoratore di proporre la domanda di nullità del recesso per licenziamento discriminatorio, ove non già proposta con il tipico ricorso introduttivo del rito del lavoro, con i riti speciali previsti, a seconda delle fattispecie, dall’art. 38 del D. Lgs. 11 aprile 2006 n. 198 e dall’art. 28 del D. Lgs. 1° settembre 2011 n. 150. 

Nello specifico, il rito di cui all’art. 38 D. Lgs. n. 196/2006 ha introdotto, in materia di discriminazione di genere, una procedura d’urgenza azionabile su ricorso del singolo lavoratore o, per sua delega, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, o della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente, avanti al giudice del lavoro del luogo ove è avvenuto il comportamento denunciato. Il giudice, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni qualora ritenga sussistente la violazione delle norme antidiscriminatorie richiamate, ordina all’autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva, sentenza soggetta a riforma con gli ordinari mezzi di impugnazione. 

L’art. 28 D. Lgs. n. 150/2011 si riferisce, invece, a determinate controversie in materia di discriminazione e segnatamente le controversie di cui all’art. 44 D. Lgs. n. 286/1998 (discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi), quelle di cui all’art. 4 D. Lgs. n. 215/2003 (discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica in attuazione della direttiva 2000/43/CE), quelle di cui all’art. 4 D. Lgs. n. 216/2003 (discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale), quelle di cui all’art. 3 Legge n. 67/2006 (discriminazione in danno di persone con disabilità) e quelle di cui all’art. 55-quinquies D. Lgs. n. 198/2006 (discriminazioni per ragioni di sesso). Le controversie di cui all’art. 28 citato trovano ora regolazione nel nuovo rito semplificato di cognizione, introdotto dalla riforma Cartabia all’art. 281- decies c.p.c. Peculiarità di tale rito speciale è che le parti, nel giudizio di primo grado, possono stare in giudizio personalmente.

Una preclusione, in un’ottica di deflazione del contenzioso giudiziario, è posta a carico di chi abbia inizialmente agito ai sensi di uno dei predetti riti speciali, lo stesso non può “agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda” introdotta seguendo l’uno o l’altro dei predetti riti. 

Per esempio, se in una procedura di licenziamento collettivo una lavoratrice viene licenziata per ragioni di genere e, quindi, discriminata, può fare ricorso allo specifico rito di cui all’art. 38 del D. Lgs. n. 198/2006, in altre ipotesi di discriminazione troverà applicazione il rito previsto dal D. Lgs. n. 150/2011. 

4. Speditezza del processo del lavoro (entrata in vigore in data 18 ottobre 2022 applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche ai giudizi già pendenti a tale data). 

Dalla riforma introdotta si rileva, inoltre, che il Legislatore nell’ambito del Codice di Procedura Civile ha recepito quella che è sempre stata definita la normativa emergenziale scaturita del periodo pandemico legato al COVID-19. 

Le novità, nell’abito del processo del lavoro, di maggior rilievo riguardano la modifica dell’art. 127 c.p.c. oltre alla introduzione degli artt. 127-bis e 127-ter.

 La novella legislativa legittima il giudice a poter ordinare che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza (udienza c.d. da remoto) ovvero sia sostituita dal deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, quando non sia necessaria la presenza delle parti o altri soggetti diversi dai difensori. 

Il Legislatore ha comunque previsto la possibilità di opporsi, in un termine perentorio di cinque giorni, al provvedimento che disponga la udienza in audio collegamento ovvero a quello che disponga l’udienza cartolare facendo istanza che la causa venga trattata alla presenza delle parti. 

È, tuttavia, rimessa al giudice la decisione finale che provvederà con decreto non impugnabile. 

Già si registrano casi in cui i giudici del lavoro fanno espresso riferimento all’art. 127-ter nei provvedimenti in cui dispongono che l’udienza si svolga tramite lo scambio di note scritte tra le parti. 

Tuttavia, le novità introdotte pongono qualche perplessità rispetto al loro coordinamento con il principio di oralità cui è improntato il processo del lavoro dal momento che quest’ultimo è sempre stato connotato da un confronto orale diretto tra difensori e giudicante svolgentesi alla normale udienza che si teneva in presenza. 

Sono già state segnalate dai primi commentatori della Riforma in esame le ragioni che attengono all’inapplicabilità della trattazione scritta ex art. 127-ter c.p.c. alle controversie regolate dal rito del lavoro. Non è arduo, infatti, individuare gli aspetti che si pongono in conflitto con alcune fondamentali regole del rito lavoro. Le cadenze temporali previste dalla nuova norma sono incompatibili, ad esempio, con quelle che nel rito del lavoro disciplinano la costituzione in giudizio del convenuto con evidente sbilanciamento dei poteri processuali delle parti. 

5. Il nuovo procedimento di rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione (entrata in vigore in data 18 ottobre 2022 applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche ai giudizi di merito già pendenti a tale data). 

Pur non attenendo esclusivamente al processo del lavoro, si evidenzia l’introduzione dell’art. 363-bis c.p.c. che stabilisce il possibile rinvio pregiudiziale da parte del Giudice di merito, sentite le parti, alla Corte di Cassazione degli atti del procedimento per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto. 

Le questioni pregiudiziale sono quelli codificate nel medesimo art. 363-bis c.p.c.: 

1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di Cassazione;

2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative;

3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi. 

Il principio di diritto enunciato, nel relativo procedimento, dalla Suprema Corte è vincolante nel procedimento di merito nell’ambito del quale è stata rimessa la questione. 

Si segnala, infine, che la procedura telematica irrompe anche nei giudizi dinnanzi alla Corte di Cassazione. Già dal 1° gennaio 2023, infatti, i depositi degli atti in materia civile presso la Corte di Cassazione devono avvenire esclusivamente in modalità telematica. 

Per effetto di tale disposizione, si segnala, tra le altre novità, che il controricorso andrà depositato telematicamente nel termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso, senza necessità di notifica al ricorrente, il quale potrà accedere direttamente al fascicolo telematico per estrarne copia. Ovviamente, detta disciplina si applica al controricorso diretto verso il ricorrente principale. Qualora, invece, il controricorrente voglia proporre impugnazione incidentale verso altra parte dovrà certamente notificare il controricorso, avendo però cura di rispettare anche il termine dei quaranta giorni per il deposito telematico. 

Il quesito rispetto a queste nuove norme è se effettivamente raggiungeranno l’obiettivo prefissato; la risposta al quesito non può che essere dubitativa, nella misura in cui il successo, o meno, dell’impatto deflattivo e acceleratorio del contenzioso dipenderà sia dalla qualità delle innovazioni introdotte, non sempre ineccepibili, che da fattori estranei alle norme quali misure organizzative degli uffici, dimensione degli organici, performance dei soggetti che muovono la “macchina giustizia”. 

Questo intervento normativo viene considerato centrale, nel piano di riforme post-pandemico poiché il giudizio civile, per le materie trattate, è il luogo in cui le contrapposte istanze di giustizia trovano composizione e conseguentemente generano effetti immediati sul mercato. 

Avvocato Cristiana Pilo e Avvocato Livia Sandulli - Fieldfisher