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Cassazione: a quali condizioni una sentenza passata in giudicato ha efficacia nei confronti dei terzi?


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Con l’ordinanza n. 32717 del 24.11.2023, la Cassazione afferma che l'accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato, avente ad oggetto l'interpretazione di un CCNL, non estende i suoi effetti, né è vincolante, nei confronti dei terzi.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente, nei confronti della sua ex datrice, al fine di ottenere il pagamento della retribuzione dovuta per ferie, tredicesima, permessi retribuiti, malattia e TFR per un totale di € 20.099,12.
La Corte d’Appello accoglie solo parzialmente la predetta domanda, condannando la società a pagare la minor somma di € 7.677,72.
Avverso la predetta decisione il dipendente propone ricorso per cassazione, rammentando di aver prodotto dodici sentenze passate in giudicato della stessa Corte territoriale che su questioni identiche aveva accolto in toto le domande dei lavoratori ed insistendo per l'efficacia riflessa di quei giudicati.

L’ordinanza

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare "efficacia riflessa" nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale a condizione che:
a) i terzi non siano titolari di un diritto autonomo, scaturente da un distinto rapporto giuridico o costituito su un rapporto diverso da quello dedotto nel primo giudizio;
b) i terzi non possano risentire un "pregiudizio giuridico" dalla precedente decisione;
c) l'efficacia riflessa riguardi soltanto l'affermazione di una situazione giuridica che non ammette la possibilità di un diverso accertamento.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, perché la sentenza spieghi efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale, quale affermazione obiettiva di verità, è necessario, da un lato, che il terzo sia titolare di una situazione giuridica dipendente o comunque subordinata.

Dall’altro lato, deve trattarsi di sentenza che contenga un'affermazione obiettiva di verità che non ammette la possibilità di un diverso accertamento.
Circostanza questa non rinvenibile in caso di interpretazione di clausole di un CCNL o di un accordo aziendale, posto che - diversamente opinando, si finirebbe per ammettere la possibilità per il giudice di interpretare con efficacia erga omnes i contratti collettivi.

Su tali presupposti, vertendo la causa proprio sull’interpretazione di una norma collettiva, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal dipendente.

A cura di Fieldfisher