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Alcune considerazioni sulla conciliazione vita - lavoro


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1.La base normativa delle misure di incentivazione

La promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata costituisce la dichiarata finalità dell’art. 25 del d.lgs. n.80/2015.

La leva considerata funzionale a tale promozione è individuata dalla stessa disposizione legislativa in sgravi contributivi a favore di aziende che assecondano la conciliazione;  lo strumento deputato a veicolare le concrete misure di conciliazione è il contratto collettivo.

Finalità sicuramente condivisa e apprezzabile e risorse stanziate per “finanziare” gli sgravi avrebbero dovuto consentire tempi stretti nel dare attuazione al disegno legislativo.

Il varo del decreto del Ministro del lavoro 12 settembre 2017, di concerto con il Ministro dell’economia, previsto al fine di definire criteri e modalità di distribuzione delle agevolazioni contributive e registrato dalla Corte dei conti solo in data 12 ottobre 2017 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 248/2017, ha richiesto un bel po’ di tempo, cosicché da poco il quadro normativo è stato completato.

Ora, la circolare dell’Inps n. 163 del 3 novembre 2017  aiuta a districarsi fra la normativa legislativa e regolamentare.

 2. Quali fonti contrattuali?

Senza considerare tutti gli aspetti della complessiva disciplina (legislativa e regolamentare), ci si concentra su di alcuni passaggi di particolare rilievo.

L’art. 25 del decreto legislativo stabilisce che le quote di  risorse stanziate  per la conciliazione  sono da tradurre “… in sgravi contributivi per incentivare la contrattazione collettiva di secondo livello …” impegnata allo scopo.  Lo stesso articolo, inoltre, menziona la l. n. 247/2007, nel punto in cui questa considera la “contrattazione decentrata” comprensiva sia dei contratti aziendali che di quelli territoriali.

L’articolo, inoltre, solo in passaggi successivi fa riferimento ai contratti collettivi aziendali.

Nel complesso, quindi, le indicazioni fornite dalla legge non risultano particolarmente  restrittive.

Il decreto ministeriale, invece, è molto più netto: fin dall’art. 1 riferisce gli  sgravi contributivi alla conciliazione realizzata “… attraverso la stipula di contratti collettivi aziendali”; - ugualmente, è ai “contratti collettivi aziendali” che fa più volte riferimento l’art. 2 del decreto, come i medesimi contratti il comma 5 considera ai fini del richiesto deposito. 

E i contratti collettivi territoriali, rientranti anch’essi nella categoria dei contratti collettivi decentrati di secondo livello, sono idonei a far acquisire gli incentivi ? 

Il decreto dà un’indicazione al riguardo.

Afferma, infatti, che possono essere depositati e, prima ancora, fungere da presupposto di fruizione degli sgravi anche gli accordi sindacali aziendali “… in recepimento di contratti collettivi territoriali …”.

L’indicazione è utile, ma non soddisfa a pieno.

Ove si abbia un contratto territoriale immediatamente vincolante per le singole imprese rientranti nel suo campo di applicazione per riflesso della capacità rappresentativa dei soggetti che l’hanno stipulato e/o per altri meccanismi, perché mai si deve pensare ad accordi aziendali di recepimento?

L’accordo territoriale, in ipotesi, prevede misure di conciliazione; le aziende destinatarie  del contratto sono  vincolate ad applicarle.

Ebbene, dinnanzi ad una situazione del genere, perché non considerare sufficiente il deposito  del contratto territoriale?

Sulla interpretazione/applicazione del decreto ora incide la citata circolare Inps, che fra l’altro sottolinea: “ … non sono riconosciute ai fini dell’accesso al beneficio le misure di conciliazione vita-lavoro contenute in contratti collettivi territoriali, salvo che tali misure non siano espressamente recepite in accordi aziendali”.

L’affermazione coglie quanto previsto dal decreto, ma è quanto previsto dal decreto che non convince a pieno. Ciò anche perché è prospettato un assetto diverso da quello sperimentato per le agevolazioni legate ai premi di risultato, alle quali si è consentito l’accesso  sulla base di “… contratti aziendali o territoriali” …” ( d.m. 25 marzo 2016).

Di riflesso, difficoltà, se non vere e proprie rinunce, sono  da mettere in conto da parte di imprese che non hanno dimestichezza con il livello aziendale di contrattazione collettiva

Il decreto è privo di qualsiasi riferimento agli accordi di gruppo. Ciò nonostante, più di una riflessione può farsi anche a questo riguardo.

Non mancano esempi in cui gli accordi di gruppo sono negoziati da soggetti che hanno diretta capacità rappresentativa delle insieme delle società del gruppo e, quindi,

capacità di vincolarle (perché, ad esempio, al negoziato partecipano, rappresentanti della società capogruppo, ma anche rappresentanti della singole società e il coordinamento delle rappresentanze sindacali delle singole società).

Se l’accordo di gruppo non è un mero accordo quadro bisognevole di successivi accordi aziendali perché si generino diritti e obblighi delle società del gruppo e dei lavoratori che da ciascuna di esse dipendono, si ripropongono le stesse domande di prima:  perché l’accordo di gruppo non dovrebbe costituire un idoneo viatico che accompagna, sussistendone i presupposti sostanziali, alla fruizione degli incentivi?

Si dirà: al predetto fine, il decreto richiede il deposito di accordi aziendali e non di altre figure  di contratto collettivo.

Sennonché, non si incontrano difficoltà a far rientrare  i contratti di gruppo nella generale categoria dei contratti decentrati  e, ove si pongano come fonti che conformano direttamente gli assetti aziendali e il trattamento economico e normativo dei lavoratori, non si incontrano  difficoltà ad assimilarli funzionalmente  ai contratti collettivi aziendali.

Sussistendo le predette condizioni, si può vedere il  contratto di gruppo come un contratto  aziendale valevole, uniformemente o con qualche adattamento,  per un insieme di imprese: quelle facenti parte del gruppo. Situazioni del genere, ad esempio, si vedono nel settore del credito, in cui si definiscono al livello di gruppo intese immediatamente vincolati e applicative per le aziende appartenenti al gruppo (a sviluppo di un livello di contrattazione collettiva previsto dal ccnl).

Da questo punto di vista, ci si potrebbe mettere in armonia anche con la formulazione letterale del decreto ove, come appare ragionevole, si consideri utile il deposito di contratti di gruppo che presentino le anzidette caratteristiche, gravando su ciascuna delle società che aspira alle agevolazioni  l’onere di depositare il contratto.

Del resto, tutti i motivi che hanno suggerito al legislatore di rimettersi ai contratti collettivi per introdurre misure di conciliazione possono valere anche per i contratti di gruppo, con una differenza: proprio perché   il contratto, per definizione, riguarda una pluralità di società, molte delle misure di conciliazione a cui si pensa possono realizzarsi al meglio se previste da un contratto di gruppo.

 Una legislazione promozionale, impegnata a diffondere la cultura e la prassi della conciliazione, non può che vedere con favore un contratto che ha la caratteristica di coinvolgere una pluralità di comunità aziendali e  non una sola come è connaturato al contratto che riguarda una sola azienda. 

3. Il carattere innovativo e migliorativo delle misure di conciliazione

 Per l’accesso alle agevolazioni, l’art. 2 del decreto richiede misure di conciliazione  “innovative e migliorative” rispetto a quanto già previsto dai contratti collettivi nazionali di riferimento e dalle normative  legislative. 

Lo stesso articolo, poi, si preoccupa del rapporto fra contratti di secondo livello che, come si è già rilevato, sono solo i contratti aziendali.

In particolare, secondo l’art. 2, comma 2, degli sgravi possono fruire anche imprese che, attraverso contratti collettivi depositati nei termini fissati, prevedono “… l’estensione o l’integrazione di misure già previste in precedenti contratti collettivi aziendali”.  

L’impiego delle due parole - “estensione”, “integrazione”, a cui viene frapposta la congiunzione  alternativa “o” - lascia intendere che, ai fini della fruizione degli sgravi,  possano   risultare sufficienti anche operazioni di ampliamento della platea dei beneficiari.

E’ sufficiente che il carattere innovativo e migliorativo delle misure sia solo soggettivo, riguardando la platea dei soggetti interessati e, in questo senso, l’estensione delle misure? Inducono a ritenerlo la formulazione letterale e l’importanza che lo stesso decreto dà “al numero dei lavoratori” interessati  dal contratto ( “Il contratto collettivo aziendale deve riguardare un numero di lavoratori pari almeno a …”: art. 2,comma 4). 

La formulazione dell’art. 2, comma 2, suggerisce un’ulteriore considerazione.

La scadenza di un contratto fa venir meno le misure che in esso, nel periodo di vigenza, hanno trovato la loro unica fonte.

Condividendo questa considerazione, si ha che un contratto successivo, quand’anche ripetitivo dal punto di vista dei contenuti,  è innovativo  rispetto alla situazione determinata dalla scadenza del precedente contratto.

Sennonché, la formulazione dell’art. 2, comma 2, impedisce di ragionare nel predetto modo.

Ai fini della fruizione delle agevolazioni, Il carattere innovativo e migliorativo deve potersi apprezzare rispetto al precedente contratto decentrato, che continua a rilevare come parametro rispetto al quale misurare il carattere innovativo e migliorativo delle misure anche se scaduto.

 4. I destinatari delle misure

Il  decreto, senza la possibilità di individuare alternative,  richiede che il contratto riguardi “ … un numero di lavoratori pari almeno al settanta per cento della media dei dipendenti occupati dal medesimo datore di lavoro nell’anno civile precedente la domanda …” degli sgravi  (art. 2, comma 4).

Il riferimento al singolo datore di lavoro vincola a considerare la situazione della singola azienda quand’anche si fosse disponibili ad interpretare/applicare il decreto come non ostativo della (astratta) idoneità dei contratti collettivi di gruppo senza la necessità di successivi accordi aziendali. Da altri  punti  di vista, più difficoltà si accompagnano alla previsione del decreto, senza che un particolare contributo di chiarimento sia fornita dalla circolare Inps ( che si limita a ripetere: “il contratto collettivo aziendale deve riguardare un numero di dipendenti pari almeno al settanta per cento della media di lavoratori occupati dal datore di lavoro, in termini di forza aziendale, nell’anno civile precedente”).

La media dei dipendenti occupati è verosimilmente  da calcolare sulla base dei criteri specificati con riferimento alle diverse tipologie di lavoro subordinato (a orario ridotto a termine, di apprendistato, ecc.). Il riferimento all’anno civile comporta, inoltre, che è da considerare il periodo 1° gennaio/31 dicembre dell’anno precedente. Il che, per quanto riguarda le domande delle agevolazioni avanzate entro il 15 novembre 2017, significa che deve farsi riferimento alla media degli occupati nel 2016. 

La formulazione del decreto è, poi, da intendere bene.

In generale, il contratto collettivo riguarda l’insieme dei lavoratori dipendenti dall’azienda (ha efficacia erga omnes, si dice).

I contratti collettivi, come afferma l’art. 3, comma 1, scelgono fra le misure di conciliazione indicate dal decreto  e, sempre ai fini dell’incentivazione, ne recepiscono almeno due (art. 2, comma 3).

Sono, dunque, le misure di conciliazione che devono riguardare il 70% del personale calcolato come richiesto.

Ciò detto, è ciascuna misura che deve riguardare il 70% o è sufficiente che la media di coinvolgimento del personale con riferimento all’insieme delle misure previste sia almeno pari a detta percentuale? Il decreto fa riferimento al contratto e ciò induce a ritenere che il rispetto della percentuale sia richiesta per tutte le misure recepite dal contratto.  

Inoltre, le misure devono “riguardare” solo potenzialmente  - vien fatto di  pensare   - la richiesta  percentuale dei lavoratori. Infatti, una volta predisposto l’insieme delle misure, ci sono di mezzo scelte individuali non prevedibili e, d’altro canto, l’ammissione al beneficio degli sgravi è disposta quando è in corso l’applicazione delle misure (art. 6) e, quindi, appare rimessa più ad una valutazione ex ante che ex post.

Più in generale, il vincolo del 70% , che può essere visto come una regola utile ad assicurare un’ampia  diffusione delle misure di conciliazione  fra il personale, alla prova dei fatti potrebbe generare delle contraddizioni.

 Si  pensi, ad esempio, ad una situazione aziendale in cui si avverte l’esigenza di rimuovere situazioni che penalizzano in misura  grave una ristretta parte di personale. La regola del 70 % potrebbe impedire di concentrare le misure a favore di questa parte di personale.  Inoltre,  non tutte le misure elencate dal decreto hanno lo stesso valore. La regola introdotta dal decreto potrebbe  costringere a dei mix di misure meno apprezzabili di quelli immaginabili in assenza della stessa.  

5. Il deposito dei contratti

Nella circolare Inps, si precisa un punto di particolare rilievo: “ I datori di lavoro che avessero già provveduto al deposito telematico di un contratto aziendale ai fini della detassazione d dei premi di risultato … non dovranno effettuare un nuovo deposito per usufruire dello sgravio oggetto della presente circolare, ma ciò solo nel caso in cui il contratto già depositato contenga misure di conciliazione pienamente conformi ai requisiti stabiliti dal decreto interministeriale del 12 settembre 2017”.

La precisazione è utile da un punto di vista pratico/operativo, ma anche generale. Concorre, infatti, a confermare che la cosiddetta detassazione dei premi e la sostituzione degli stessi  con benefit di welfare, destinatari delle agevolazioni di cui al TUIR, può cumularsi, nell’area delle misure che favoriscono la conciliazione lavoro-vita privata, con lo sgravio  di cui al decreto.

In conclusione, le considerazioni prospettate, frutto di un esame parziale del decreto, confermano il valore  di una normativa che in generale va senz’altro in una giusta direzione, ma evidenziano anche profili meritevoli di qualche adeguamento ( non più immaginabili per le agevolazioni legate alla scadenza del 15 novembre 2017, ma possibili per il 2018).      

 A cura di  Angelo Pandolfo - Fieldfisher