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Cassazione: quando si integra la violazione del principio di tempestività della contestazione?


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Con l’ordinanza n. 26003 del 24.09.2025, la Cassazione afferma che, ai fini del rispetto del principio della tempestività della contestazione, deve farsi riferimento al momento della conoscenza dei fatti da parte del datore, ossia della ragionevole configurabilità degli stessi nelle loro caratteristiche oggettive, nella loro gravità e nella loro addebitabilità al lavoratore.

Il fatto affrontato

La società ricorre giudizialmente al fine di sentir accertare la legittimità e l'efficacia della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione irrogata al dipendente cui erano stati contestati sei diversi addebiti.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, deducendo – tra le altre cose – l’insussistenza della violazione del principio di immediatezza della contestazione lamentata dal dipendente.

L’ordinanza

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare risponde all'esigenza, da un lato, di osservare la regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, di garantire il diritto di difesa del dipendente, agevolato nell'addurre elementi di giustificazione a breve intervallo di tempo dall'infrazione.

Per la sentenza, detto principio non consente al datore di lavoro di procrastinare la contestazione disciplinare in modo, non solo da rendere difficile la difesa del dipendente, ma anche di perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto.

Tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, quella dell'immediatezza della contestazione è una nozione da intendere in maniera relativa, correlata al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione societaria, che impone un adeguato accertamento e una precisa valutazione dei fatti da considerare con riferimento al tempo in cui gli stessi sono conosciuti dal datore e non a quello in cui essi sono avvenuti.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore, confermando la legittimità dell’irrogata sanzione.

A cura di WST