Con l’ordinanza n. 28798 del 08.11.2024, la Cassazione afferma che il CUD, come atto unilaterale proveniente dal datore di lavoro, non comprovava in alcun modo l’esistenza di fatti estintivi del credito fatto valere dal dipendente, soprattutto in presenza delle contestazioni da quest’ultimo avanzate.
Il fatto affrontato
Il lavoratore ricorre giudizialmente al fine di chiedere l’ammissione al passivo del suo ex datore in ordine al credito di € 3.946,83 vantato a titolo di TFR.
Il giudice delegato al fallimento rigetta la predetta domanda, ritenendo provata dal CUD depositato dallo stesso dipendente l’erogazione del trattamento di fine rapporto.
L’ordinanza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva che le buste paga ed i CUD provenienti dalla parte datoriale, in mancanza di altri elementi probatori (quali ad esempio quietanze, assegni, invii di bonifici), non costituiscono prova del pagamento del credito in essi documentato.
Per la sentenza, infatti, detti documenti non possono essere utilizzati a prova del pagamento, essendo provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo.
Secondo i Giudici di legittimità, invece, gli stessi possono essere utilizzati dal lavoratore per provare sia il proprio diritto al TFR o alle altre voci in essi riportate, sia per dimostrarne la corretta quantificazione.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso del lavoratore, statuendo il diritto dello stesso ad essere ammesso al passivo.
A cura di WST