Con l’ordinanza n. 3405 del 10.02.2025, la Cassazione afferma che il dipendente è chiamato a mantenere una condotta leale con gli interessi dell’azienda e deve evitare qualsiasi comportamento, anche extra-lavorativo, che ingeneri un conflitto con gli obiettivi e l’organizzazione aziendale.
Il fatto affrontato
Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli perché, all’esito di una ordinanza di custodia cautelare per il reato di favoreggiamento ad associazioni mafiose, era emerso che lo stesso svolgeva un’attività imprenditoriale, in parte concorrente con quella della società datrice, senza l’autorizzazione di quest’ultima.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo legittimo il recesso anche solo per la violazione del codice etico della società che imponeva ad ogni dipendente di richiedere l'autorizzazione aziendale per qualsiasi attività economica o collaborazione con terzi soggetti.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 c.c., dovendosi integrare con i principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c.
Ne consegue, continua la sentenza, che il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta, anche extra-lavorativa o potenzialmente dannosa, che sia in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nella organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa.
Secondo i Giudici di legittimità, risulta contrario a detti doveri il comportamento del lavoratore che, ricoprendo ruoli operativi e gestionali in società terze senza aver informato il datore, viola le regole ed il codice etico interni.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal dipendente, confermando la legittimità dell’impugnato recesso.
A cura di WST