Con la sentenza n. 713 del 05.06.2025, la Corte d’Appello di Palermo afferma che il lavoratore disabile non può invocare il carattere discriminatorio del recesso irrogatogli per superamento del periodo di comporto, laddove non provi la riconducibilità delle assenze alla disabilità medesima.
Il fatto affrontato
Il lavoratore, disabile al 65% ed assunto come categoria protetta, impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per superamento del periodo di comporto.
Il Tribunale rigetta la predetta domanda, sul presupposto che il ricorrente non aveva provato, come era suo onere, che i giorni di malattia - conteggiati dal datore ai fini del comporto - erano correlati alla propria disabilità.
La sentenza
La Corte d’Appello rileva preliminarmente che, nelle ipotesi di licenziamento del lavoratore disabile per superamento del comporto, il fattore di rischio cui si assume sia collegato il comportamento datoriale discriminatorio non è soltanto lo stato disabilità in sé, quanto piuttosto il fatto che le patologie che hanno causato le ripetute assenze siano connesse, in rapporto diretto ed immediato, con la disabilità stessa.
Secondo i Giudici, quindi, spetta al lavoratore, che invochi la discriminatorietà del recesso, provare in modo sufficientemente specifico il nesso di conseguenzialità o connessione diretta tra le patologie che hanno causato le assenze ed il suo stato di disabilità.
Per la sentenza, il dipendente deve – a tal fine – fornire supporti probatori documentali tali da consentire al giudice di accertare il predetto nesso con la disabilità o, ancora, con l'attività lavorativa se esercitata in dispregio delle limitazioni dettate dalla sorveglianza sanitaria.
Non avendo il lavoratore adempiuto detto onere probatorio nel caso di specie, la Corte respinge l’appello dallo stesso proposto.
A cura di WST