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Cassazione: quali sono i rapporti tra sentenza penale di assoluzione e licenziamento irrogato per gli stessi fatti?


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Con l’ordinanza n. 26042 del 07.09.2023, la Cassazione afferma che il giudice civile – ai fini del giudizio circa la sussistenza o meno dell'addebito disciplinare – può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, tra le quali rientra indubbiamente la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto contestato al dipendente.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per aver compilato con dati falsi due Documenti di Accompagnamento consentendo, così, la sottrazione di circa 1.300 litri di carburante.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che il processo penale, basato sugli stessi accadimenti (in cui la società datrice si era anche costituita parte civile), si era concluso con l’assoluzione del ricorrente con formula piena.

L’ordinanza

La Cassazione, in ordine alla disciplina dei rapporti tra giudizio penale e civile, rileva che:
a) ai sensi dell'art. 652 c.p.p. (nell'ambito del giudizio civile di danni) e dell'articolo 654 c.p.p. (nell'ambito di altri giudizi civili), il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche nell'ipotesi in cui l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova;
b) nei confronti dell'imputato, la sentenza irrevocabile di assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile nel quale si controverta intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale, mentre resta impregiudicata la qualificazione giuridica dei fatti medesimi;
c) il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile;
d) peraltro, anche ove la sentenza penale irrevocabile sia priva di efficacia extra-penale, il giudice civile, nella doverosa completa e autonoma rivalutazione del fatto, deve tenere conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale;
e) la sentenza penale, ancorché non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale - ed attribuendo, perciò, al giudice civile il potere-dovere di accertarli e valutarli in via autonoma - costituisce in ogni caso una fonte di prova che il predetto giudice è tenuto ad esaminare e dalla quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge.

Per la sentenza, applicando i predetti principi al caso di specie, se ne ricava che l'assoluzione per non aver commesso il fatto, pronunciata anche con la partecipazione quale parte civile del datore di lavoro, fonda legittimamente l'accertamento del giudice civile in ordine all'insussistenza dell'addebito disciplinare a base del licenziamento ed il conseguente annullamento dello stesso.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società.

A cura di Fieldfisher