Con l’ordinanza n. 12060 del 07.05.2025, la Cassazione afferma che è nullo il licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogato alla lavoratrice incinta, prevalendo quest’ultima condizione sulla sussistenza di un giustificato motivo di recesso.
Il fatto affrontato
La lavoratrice impugna giudizialmente il licenziamento irrogatole per superamento del periodo di comporto allorquando era in gravidanza.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, ritenendo nullo l’impugnato recesso.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il divieto di licenziamento della lavoratrice incinta opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza.
Ciò, continua la sentenza, rende irrilevante non solo la condizione soggettiva di conoscenza o non conoscenza dello stato di gravidanza da parte della lavoratrice e del datore, ma anche tutti gli altri elementi che possono avere rilievo ordinariamente ai fini della estinzione del rapporto di lavoro (come, ad esempio, il giustificato motivo oggettivo di licenziamento).
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il divieto di recesso datoriale dettato dalle disposizioni a tutela della maternità introduce una deroga alla intera disciplina limitativa dei licenziamenti (fatta eccezione per alcune tassative ipotesi indicate dall’art. 54 del D.Lgs. 151/2001).
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando la nullità dell’impugnato recesso.
A cura di WST