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Cassazione: licenziato chi tiene una condotta riconducibile alla molestia


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Con la sentenza n. 23295 del 31.07.2023, la Cassazione afferma che le allusioni a sfondo sessuale rivolte alla collega, pur in assenza di una volontà offensiva, giustificano il licenziamento per giusta causa.

Il fatto affrontato

Il dipendente impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per aver avanzato allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale nei confronti di una giovane collega appena assunta.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo irrilevante sia che fosse assente la volontà offensiva sia che il clima dei rapporti tra i colleghi fosse scherzoso e goliardico.

La sentenza

La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva preliminarmente che devono essere considerate molestie tutti quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Secondo i Giudici di legittimità, dunque, vi rientrano tutte quelle condotte che abbiano carattere comunque indesiderato, pur senza che ad esse conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, anche nell’ipotesi di assenza di volontà di recare una offesa.

Per la sentenza, un comportamento che assurge ai caratteri della molestia, come definiti per legge, è sempre di una gravità tale da legittimare il licenziamento.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso del dipendente, confermando la legittimità del recesso irrogatogli.

A cura di Fieldfisher