Con la sentenza n. 5936 del 06.03.2025, la Cassazione afferma che il contenuto offensivo e razzista nei confronti di un superiore gerarchico contenuto nel messaggio inviato in una chat WhatsApp con i colleghi non ha rilevanza disciplinare, dal momento che tale comunicazione gode della tutela della segretezza di cui all’art. 15 della Costituzione.
Il fatto affrontato
Il dipendente impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per aver registrato su una chat di WhatsApp denominata "Amici di lavoro" alla quale partecipavano con lui altri 13 colleghi, alcuni messaggi vocali riferiti ad un superiore gerarchico con contenuti offensivi, denigratori, minatori e razzisti.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, ritenendo che i messaggi in questione erano stati inviati ad un gruppo limitato di persone ed erano, quindi, da considerarsi quale comunicazione privata tutelata dall'art. 15 Cost.
La sentenza
La Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che i messaggi di posta elettronica, gli SMS e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet godono della stessa disciplina prevista per la corrispondenza.
In particolare, secondo i Giudici di legittimità, la posta elettronica ed i messaggi WhatsApp operano secondo modalità e procedure che soddisfano il requisito di segretezza, in funzione del quale è riconosciuta a tutti consociati la tutela di cui all'art. 15 Cost.
Per la sentenza, ne consegue che un messaggio inviato dal dipendente in una chat di gruppo con i colleghi non può essere utilizzato a fini disciplinari, essendo inviato a persone determinate e destinato a rimanere segreto.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso della società, confermando l’illegittimità del licenziamento dalla stessa irrogato.
A cura di WST