Con l’ordinanza n. 14157 del 27.05.2025, la Cassazione afferma che spetta al lavoratore, che impugna il licenziamento per superamento del periodo di comporto, provare che alcune assenze per malattia non possono essere (a tal fine) considerate, dipendendo da una patologia di origine professionale addebitabile ad una responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c.
Il fatto affrontato
Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per superamento del periodo di comporto.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo non provata la riconducibilità di alcune assenze ad una patologia professionale scaturita per colpa di parte datoriale.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che grava sul lavoratore, che impugna il licenziamento per superamento del periodo di comporto, l’onere della prova circa la causa delle assenze che hanno condotto alla risoluzione del rapporto.
In particolare, continua la sentenza, spetta al dipendente dimostrare che la malattia è dipesa dalle mansioni svolte, con conseguente responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. e connessa esclusione dei relativi giorni di assenza dal computo del comporto.
Secondo i Giudici di legittimità, ai fini del raggiungimento della predetta prova, non è sufficiente la sentenza conclusiva del giudizio intentato dal lavoratore nei confronti dell'INAIL al fine di veder accertata la natura professionale della malattia, nel caso in cui la società non abbia partecipato a quel giudizio e la pronuncia sia, quindi, inopponibile nei suoi confronti.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal dipendente, confermando la legittimità dell’impugnato recesso.
A cura di WST