Con l’ordinanza n. 15478 del 01.06.2023, la Cassazione afferma che il danno da perdita di chance in favore del dipendente estromesso dal concorso per la nomina a dirigente può essere provato per presunzioni in base ad un calcolo delle probabilità sul raggiungimento dell’obiettivo che tenga in considerazione il numero dei vincitori rispetto ai candidati ammessi all’orale.
Il fatto affrontato
La lavoratrice si vede revocata l’attribuzione della qualifica di dirigente perché avvenuta in base a un regolamento annullato dal TAR.
All’esito di ciò, la medesima ricorre giudizialmente al fine di ottenere il ristoro per aver perso l’opportunità di ottenere il posto da dirigente mediante il corso-concorso bandito dall’ente di appartenenza nel periodo compreso tra la nomina dirigenziale (poi dichiarata illegittima) e la revoca della stessa.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda e riconosce alla dipendente un risarcimento da perdita di chance.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che, in caso di illegittimità dell'atto di conferimento di un incarico dirigenziale nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, il candidato escluso può conseguire il risarcimento del danno derivante dalla perdita di chance solo in presenza di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato risultato giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione.
Secondo i Giudici di legittimità, il lavoratore deve, a tal fine, provare – benché solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità – che la condotta illecita ha impedito la concreta realizzazione di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato, il quale non è limitato alla sola procedura concorsuale nella quale si è verificata l'illegittimità, ma può riguardare anche una successiva procedura collegata alla prima.
In caso di assolvimento di detto onere, per la sentenza, al lavoratore può essere riconosciuto un risarcimento da perdita di chance quantificato in via equitativa, mancando risultanze certe sul possibile esito della selezione, se fosse stata eseguita in modo corretto e completo.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dall’Ente datore, ritenendo assolto il descritto onere probatorio da parte della lavoratrice.
A cura di Fieldfisher