Con la sentenza n. 8419 del 05.04.2018, la Cassazione afferma che, in caso di sopravvenuta infermità permanente del prestatore, il datore prima di licenziarlo deve dimostrare di non poter adibire lo stesso ad altre mansioni equivalenti od anche inferiori, nel rispetto, però, dell'assetto organizzativo aziendale insindacabilmente stabilito dall'imprenditore, che non deve per ciò subire modifiche od alterazioni.
Il fatto affrontato
Il prestatore, addetto alla pompa presso un’area di servizio, viene licenziato in considerazione della sua inabilità al lavoro conseguente alla grave patologia contratta (linfoma di Hodking).
In conseguenza di ciò, impugna giudizialmente il recesso datoriale, sostenendo la violazione da parte della società dell’onere di allegazione e prova circa un suo impiego in mansioni equivalenti o eventualmente anche inferiori.
La sentenza
La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte di Appello, statuisce, preliminarmente, che, in caso di sopravvenuta infermità permanente del prestatore, non si realizza un'impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore dal contratto di lavoro subordinato, qualora il dipendente possa essere adibito a mansioni equivalenti o, se impossibile, anche inferiori, purché da un lato tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore, e dall'altro, l’adeguamento sia sorretto dal consenso, nonché dall'interesse dello stesso lavoratore.
Conseguentemente, continua la sentenza, nel caso in cui il lavoratore abbia manifestato il suo consenso a svolgere mansioni inferiori, il datore di lavoro è tenuto a giustificare l'eventuale recesso, considerato, però, che quest’ultimo non è tenuto ad adottare particolari misure tecniche per porsi in condizione di cooperare all'accettazione della prestazione lavorativa del soggetto affetto da infermità.
Secondo i Giudici di legittimità, infatti, la valutazione del recesso datoriale deve avvenire alla luce di un bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti (art. 4 Cost. ed art. 41 Cost.): da un lato, l’interesse del dipendente malato a mantenere il proprio posto di lavoro; dall’altro, l’interesse del datore di lavoro ad una collocazione del prestatore inidoneo che non incida sulle scelte organizzative con pregiudizio per gli altri lavoratori ed alterazione inammissibile della qualità dell'organigramma aziendale.
Su tali presupposti, la Suprema Corte, posto che, nel caso di specie, ammettere il repechage del lavoratore divenuto inidoneo alla propria prestazione equivarrebbe ad imporre al datore una prestazione parziale e non satisfattiva del suo interesse con stravolgimento per di più dell’organizzazione aziendale, ha rigettato il ricorso proposto dal dipendente.
A cura di Fieldfisher