Con l’ordinanza n. 27723 del 25.10.2024, la Cassazione afferma che la dipendente che ha subito molestie e violenze sessuali nel luogo di lavoro ha diritto a ricevere il risarcimento anche per i danni morali derivanti dalla sofferenza interiore provocata da tali accadimenti.
Il fatto affrontato
La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di ottenere il risarcimento del danno morale per essere stata vittima, dapprima, di molestie sessuali perpetrate da due superiori gerarchici e, subito dopo, di uno stupro commesso da uno dei due.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, riconoscendo alla ricorrente la somma di Euro 157.185,00 determinata sulla base di alcuni elementi quali la giovane età della donna (30 anni) e la cultura profondamente religiosa della stessa (cattolica praticante) e dei suoi familiari.
L’ordinanza
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che, in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, anche personalizzato, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi definibili come danni morali.
Questi ultimi, per la sentenza, sono danni che non hanno fondamento medico-legale - in quanto sprovvisti di base organica ed estranei alla determinazione del grado percentuale di invalidità permanente - rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).
Secondo i Giudici di legittimità, tali pregiudizi possono essere liquidati tenendo conto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa e, quindi, considerando la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, ritenendo dovuto il risarcimento e congrua la quantificazione dello stesso.
A cura di WST