Con la sentenza n. 20735 del 14.08.2018, la Cassazione afferma che il pubblico dipendente che rassegni le dimissioni in conseguenza dell’instaurazione di un procedimento penale a suo carico può ottenere il ripristino del rapporto di lavoro qualora sopravvenga una sentenza di proscioglimento (perché il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha commesso ovvero perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato od ancora se vi è un decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato).
Il fatto affrontato
Il lavoratore, dipendente di un Ente pubblico, rassegnate le dimissioni a seguito dell’instaurazione di un procedimento penale a suo carico, una volta ottenuta la sentenza di proscioglimento chiede al proprio datore la ricostituzione del rapporto di servizio.
Ottenuto il diniego a detta richiesta, ricorre giudizialmente al fine di far valere tale diritto previsto dall’art. 3, comma 57, della l. 350/2003.
La sentenza
La Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che il pubblico dipendente che abbia rassegnato le dimissioni a causa del coinvolgimento in un procedimento penale, conclusosi poi con una sentenza di piena assoluzione, ha diritto a veder ripristinato il proprio rapporto di lavoro.
Secondo i Giudici di legittimità, in presenza di tali circostanze, il prestatore ha l'onere di provare, ex artt. 2697 c.c. e 99 c.p.c., quale elemento costitutivo dell'invocato diritto, il vincolo di consequenzialità tra la richiesta di anticipato collocamento in quiescenza e l'instaurazione del procedimento penale a suo carico.
Detto elemento costitutivo, per la sentenza, può essere dimostrato con ogni mezzo, anche con presunzioni (fatti gravi, precisi e concordanti), mediante l'allegazione di elementi e circostanze di fatto idonei a provare, in concreto, che il coinvolgimento nel processo penale aveva determinato la richiesta di collocamento anticipato in quiescenza.
Su tali presupposti, posto che nel caso di specie la suddetta circostanza era palesemente emersa a seguito della prova testimoniale espletata, la Suprema Corte rigetta il ricorso dell’Ente datore, riconoscendo il diritto del dipendente alla ricostituzione del proprio rapporto lavorativo.
A cura di Fieldfisher