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Il principio di applicazione dei contratti collettivi nel Codice degli appalti


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La normativa di delegazione - Il nuovo Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36) enuncia, in apertura, “I principi generali”, dotati di una intrinseca valenza regolatoria e ciò anche perché in grado di orientare l’interpretazione delle restanti disposizioni di un testo formato da ben 229 articoli e da una pluralità di Allegati.

Fra i “Principi” un posto non secondario è ricoperto da quello affermato dall’art. 11 del Codice: “Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Inadempienze contributive e ritardo nei pagamenti”. 

Nell’analizzare i contenuti di tale articolo, è utile prendere le mosse dalla considerazione della normativa di delegazione da cui trae origine, normativa dettata dalla legge delega 21 giugno 2022, n. 78 (“Delega al Governo in materia di contratti pubblici”). 

In particolare, fra i principi e criteri direttivi, che la legge fissa per il Governo quale legislatore delegato, compare:

“previsione dell'obbligo per le stazioni appaltanti di inserire, nei bandi di gara, avvisi e inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi beni culturali, e nel rispetto dei princìpi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali con le quali sono indicati, come requisiti necessari dell'offerta, criteri orientati tra l'altro a:

1) garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato;

2) garantire l'applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all'oggetto dell'appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell'appaltatore e contro il lavoro irregolare”. 

Concentrandosi sulla questione della fonte contrattuale di regolazione dei rapporti di lavoro da applicare da parte degli appaltatori, l’indicazione data dalla legge delega, dunque, è netta, a favore dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale. 

Al riguardo, il Consiglio di Stato, nella sua relazione allo schema definitivo di Codice dei contratti pubblici, autorevolmente osserva: “… anche sul piano letterale [attraverso l’uso del verbo “garantire” …] sembra aver abbandonato l’idea di una funzione meramente promozionale e incentivante, nei confronti degli operatori economici, delle norme sulle clausole sociali nella disciplina dei contratti pubblici, mirando a conseguire un effettivo risultato applicativo con norme maggiormente pregnanti e vincolanti”. 

Una lettura della norma è stata fornita dall' Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 687/2023.

La selezione dei contratti collettivi applicabili - L’art. 11 del Codice dei contratti, nella versione definitiva, dà coerente applicazione a quanto previsto dalla legge delega: “al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente” (comma 1). 

L’applicazione del contratto collettivo stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale è, dunque, imprescindibile: l’impresa, in quanto esegue l’appalto o la concessione, è tenuto ad applicare tale contratto ai propri dipendenti e, peraltro, non potendo scegliere un qualsiasi contratto stipulato da associazioni comparativamente più rappresentative. 

Difatti, sempre facendo riferimento alla produzione delle associazioni comparativamente più rappresentative, il contratto che le imprese sono chiamate ad applicare è quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente. 

A sua volta, il comma 2 dell’art. 11 impegna le stazioni appaltanti e gli enti concedenti ad indicare, nei bandi e negli inviti, “il contratto collettivo al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione, in conformità al comma 1”. 

Su questo il commento del Consiglio di Stato è il seguente: sussiste “… la questione, altrettanto centrale, della possibile sovrapposizione tra settori di attività e quindi della possibile applicabilità di più contratti collettivi conformi, con ambiti di applicazione compatibili con l’attività oggetto dell’appalto.

La norma proposta - di cui ai commi 1 e 2 - intende compiere un ulteriore passo in questa direzione, restringendo anche le ipotesi in cui, per la frammentazione dei contratti collettivi nell’ambito del medesimo settore, l’operatore economico finisca con l’optare per un CCNL che non garantisce al lavoratore le migliori tutele sotto il profilo normativo ed economico. 

La previsione non pare in contrasto con l’art. 39 Cost. in quanto non è diretta a estendere ex lege ed erga omnes l’efficacia del contratto collettivo, ma si limita a indicare le condizioni contrattuali che l’aggiudicatario deve applicare al personale impiegato, qualora, sulla base di una propria e autonoma scelta imprenditoriale, intenda conseguire l’appalto pubblico, restando libero di applicare condizioni contrattuali diverse nello svolgimento dell’attività imprenditoriale diversa; e restando libero di accettare o non la clausola dell’appalto pubblico oggetto dell’aggiudicazione (accettando, quindi, anche l’esclusione dalla procedura). 

I medesimi argomenti possono essere utilizzati per affermare la compatibilità anche rispetto all’art. 41 Cost., tenuto conto altresì che la libera iniziativa economica <non può="" svolgersi="" in="" contrasto="" con="" l’utilità="" sociale="">”. </non>

Un’alternativa possibile? - L’art. 11, al comma 3, consente agli operatori economici di “… indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo applicabile che essi applicano, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente”.  

Anche tale proposito, giova richiamare un orientamento espresso a livello istituzionale: “Alternativamente la disciplina richiamata, in caso di applicazione di un diverso contratto, richiede che vengano applicate le medesime tutele normative ed economiche oggetto della dichiarazione di equivalenza di cui al comma 4 del medesimo art. 11 e delle verifiche di cui al successivo art. 110. Ne consegue che, qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza svolta nei citati settori emergano circostanze diverse, ad esempio relative all’applicazione di contratti collettivi privi dei citati requisiti, il personale ispettivo informerà la stazione appaltante e provvederà ai necessari recuperi contributivi e retributivi”. 

A ciò si può aggiungere che, a stregua della complessiva di disciplina di cui all’art. 11, non basterà applicare le stesse tutele ai lavoratori, ma comunque dovrà far riferimento ad un contratto collettivo strettamente connesso alla esecuzione dell’appalto o della concessione

Tale connessione è finalizzata a favorire la rispondenza dell’organizzazione dell’appaltatore o del concessionario, condizionata anche dalle previsioni della contrattazione collettiva, alla migliore esecuzione dell’appalto o della concessione. 

Non si vede, pertanto, come si possa accantonarla senza contraddire la ratio generale del Codice. 

Tiziano Treu, Of Counsel Fieldfisher Angelo Pandolfo, Partner Fiedfisher