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Cassazione: nessun risarcimento se l’illegittima precarizzazione sfocia nella stabilizzazione


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Con l’ordinanza n. 32904 del 27.11.2023, la Cassazione afferma che il seguente principio di diritto: “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, in caso di abusivo ricorso ai contratti di lavoro a termine cui sia succeduta l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato, il lavoratore ha diritto al risarcimento del “danno comunitario”, che prescinde dalla prova di un effettivo pregiudizio economico, salvo che sia stato successivamente “stabilizzato”, ovverosia sia stato assunto a tempo indeterminato dalla medesima pubblica amministrazione e in rapporto causale diretto con il precedente abuso dei contratti a termine, non essendo a tal fine sufficiente che l’assunzione sia stata semplicemente agevolata dall’abuso”.

Il fatto affrontato

La lavoratrice ricorre giudizialmente al fine di richiedere il pagamento di differenze retributive previo accertamento della natura subordinata delle prestazioni rese in esecuzione di una serie consecutiva di contratti d’opera e di collaborazione coordinata continuativa prima della sopravvenuta assunzione a tempo indeterminato.
La Corte d’Appello accoglie parzialmente la predetta domanda, condannando la PA datrice al risarcimento del danno - liquidato in misura pari a sette mensilità della retribuzione - per l’abusivo ricorso alle predette tipologie contrattuali.

L’ordinanza

La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – ribadisce preliminarmente che, in materia di pubblico impiego, in caso di abusivo utilizzo di rapporti a termine, il lavoratore ha diritto ad un’effettiva tutela risarcitoria (come imposto dalla normativa eurounitaria).

Tuttavia, per la sentenza, detto ristoro non è dovuto in caso di stabilizzazione, dal momento che l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato rappresenta una misura ben più satisfattiva di quella per equivalente ed è, quindi, idonea a cancellare tutte le conseguenze dell’abuso.

Nello specifico, secondo i Giudici di legittimità, l’immissione in ruolo, per avere tale efficacia sanante, oltre a provenire dal medesimo ente che ha commesso l’abuso, deve avvenire in rapporto di diretta derivazione causale con l’illegittima successione dei contratti a termine.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso della PA datrice e cassa con rinvio l’impugnata sentenza.

A cura di Fieldfisher