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Cassazione: falsa autocertificazione del pubblico dipendente, quali conseguenze?


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Con l’ordinanza n. 5168 del 27.02.2024, la Cassazione afferma che deve essere dichiarato nullo il contratto di lavoro sottoscritto dalla PA con un proprio dipendente reo di aver falsamente autocertificato il possesso di un titolo di studio necessario per ricoprire il ruolo assegnatogli.

Il fatto affrontato

Il lavoratore, dipendente pubblico, propone ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere la somma di € 13.602,64, quale differenza tra la retribuzione spettantegli in virtù del proprio inquadramento e quella percepita durante il periodo di assegnazione ad un diverso incarico in conseguenza dell’adozione di una misura cautelare.
La Corte d’Appello rigetta l’opposizione proposta dalla PA datrice, sul presupposto che l’adozione di una misura cautelare non può recare pregiudizio di carriera e di trattamento economico.
La PA propone ricorso per cassazione per non avere la pronuncia preso in esame la circostanza costituita dall’accertamento della falsa dichiarazione, da parte del dipendente, del possesso del titolo di laurea, necessario per coprire incarichi dirigenziali.

L’ordinanza

La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che la PA, a fronte di un’autocertificazione, può in qualsiasi momento attivarsi per controllare la conformità al vero di essa, provvedendo ad adottare, in caso di accertata non veridicità, le conseguenti misure nei riguardi dell’interessato.

Per la sentenza, tuttavia, l’intero sistema delle autocertificazioni si basa su una presunzione di veridicità di esse che non consente di affermare che la possibilità di controllo in capo alla PA sia equiparabile alla concreta conoscenza ab initio delle non veridicità successivamente emerse.

Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che la nullità del contratto, stipulato su tali affermazioni false, non è assoluta, ma riguarda solo i periodi in cui il rapporto ha avuto materiale esecuzione e concerne gli effetti retributivi o comunque strettamente consequenziali alla prestazione del lavoro.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla PA e conferma la non debenza della somma ingiunta.

A cura di WST