Giudizio di primo grado

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Corte d’Appello di Milano: in caso di errata impugnazione del licenziamento con rito Fornero, il lavoratore non incorre in alcuna decadenza


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Con la sentenza del 21.11.2018, la Corte d’Appello di Milano afferma che l’introduzione del giudizio di impugnazione del licenziamento con un rito errato determina unicamente effetti processuali e non effetti sostanziali quali il perfezionarsi di decadenze.

Il fatto affrontato

Al lavoratore assunto nel 2016, a seguito del subentro di una nuova società nel contratto d’appalto, vengono riconosciute contrattualmente le tutele previste dalla normativa in materia di licenziamenti antecedente al Jobs Act, con applicazione, quindi, di quanto previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, così come novellato dalla l. 92/2012.
In forza di ciò, il medesimo impugna giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli nel 2017 mediante il c.d. rito Fornero.
Il Tribunale di Milano pronuncia sentenza di inammissibilità del ricorso per erroneità del rito ed il prestatore, dunque, instaura un secondo giudizio con ricorso ex art. 414 c.p.c., nel quale l’azienda si costituisce eccependo l’intervenuta decadenza del lavoratore dall’impugnazione.

La sentenza

La Corte d’Appello conferma la pronuncia impugnata dalla società, sia in ordine al ravvisato difetto di proporzionalità tra la condotta contestata al lavoratore e la sanzione espulsiva irrogata al medesimo, che per ciò che concerne il principio secondo cui l’introduzione del giudizio con il rito erroneo, pur sfociando in una pronuncia di inammissibilità, è comunque idonea a impedire il verificarsi di decadenze.

Per i Giudici, infatti, la sentenza di inammissibilità non può che avere un valore processuale non intaccando minimamente gli aspetti sostanziali del rapporto, atteso che, con il deposito del ricorso introduttivo del primo giudizio, il lavoratore ha già posto in essere il comportamento necessario per impedire la decadenza di cui all’art. 6 della l. 604/1966 (impugnazione del licenziamento in via stragiudiziale nel termine di 60 giorni ed in via giudiziale entro i successivi 180 giorni).

La sentenza d’appello muove un’unica critica alla pronuncia di primo grado, sostenendo che, in caso di erroneità del rito prescelto, il giudice non deve limitarsi a dichiarare l’inammissibilità del ricorso, bensì deve convertire il rito assegnando alle parti un termine per la regolarizzazione degli atti processuali, stante l’applicabilità in via analogica degli artt. 426 e 427 c.p.c. dettati per i rapporti tra processo del lavoro e processo civile.

Su tali presupposti, la Corte, rigetta il ricorso proposto dalla società datrice, confermando la circostanza che il lavoratore non era incorso in alcuna decadenza.

A cura di Fieldfisher