Con l’ordinanza n. 11730 del 02.05.2024, la Cassazione afferma il seguente principio di diritto: “Il lavoratore, a tutela del proprio diritto all’integrità della posizione contributiva, ha sempre l’interesse ad agire, sul piano contrattuale, nei confronti del datore di lavoro, per l’accertamento della debenza dei contributi omessi in conseguenza dell’effettivo lavoro svolto, prima ancora della produzione di qualsivoglia danno sul piano della prestazione previdenziale e senza che sia necessario integrare il contradittorio nei confronti dell’INPS”.
Il fatto affrontato
Il lavoratore, socio e dipendente della cooperativa, ricorre giudizialmente al fine di richiedere la corresponsione di differenze retributive - derivanti dal maggiore orario svolto nel periodo compreso dall'aprile 2007 al febbraio 2009 - e dei relativi contributi previdenziali.
La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, non ritenendo sussistente un interesse ad agire in capo al ricorrente per l’accertamento della maggiore contribuzione ad egli dovuta, in mancanza di un pregiudizio concreto e attuale.
L’ordinanza
La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che il lavoratore ha diritto di agire nei confronti del datore per l’accertamento dell’omissione contributiva prima ancora del maturare di qualsiasi danno previdenziale.
Nello specifico - continua la sentenza - il lavoratore, a fronte di una irregolarità contributiva, ha la possibilità, prima del raggiungimento dell’età pensionabile, di esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. oppure un’azione di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso.
Secondo i Giudici di legittimità, ciò trova il fondamento nell’assunto, secondo cui il lavoratore, pur non essendo creditore dei contributi previdenziali, è comunque titolare del diritto, di derivazione costituzionale, alla posizione contributiva ovvero del diritto all’integrità della posizione contributiva a cui l’omissione contributiva reca un pregiudizio attuale (“danno da irregolarità contributiva”), quale comportamento potenzialmente dannoso.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal lavoratore.
A cura di WST