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Tribunale di Milano: dipendente non vaccinato, obbligo di repechage prima della sospensione


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Con la sentenza del 15.09.2021, il Tribunale di Milano afferma che, anche in ambito sociosanitario, la sospensione del dipendente non vaccinato costituisce una extrema ratio, che deve essere preceduta da una verifica circa l’utilizzabilità del lavoratore in altre mansioni non comportanti il rischio di diffusione del COVID-19 (sul punto si veda: Tribunale di Roma: legittima la sospensione del dipendente che rifiuta di vaccinarsi).

Il fatto affrontato

La lavoratrice, ausiliaria socio assistenziale presso una RSA, impugna giudizialmente il provvedimento datoriale con cui era stata posta in aspettativa non retribuita, a far data dal 09.02.2021, a fronte della omessa inoculazione del vaccino Anticovid-19.
La Cooperativa datrice, costituendosi in giudizio, deduce la legittimità del predetto provvedimento, adottato sulla scorta del disposto normativo di cui all’art. 2087 c.c., quale misura atta a tutelare l’integrità e le migliori condizioni di salute dei collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti della RSA, potendo serbare il rifiuto della vaccinazione, in un momento di intensa diffusione del virus, potenziali gravi conseguenze sulla salute dei medesimi soggetti, comprese gravi complicanze di salute e decesso.

La sentenza

Il Tribunale di Milano rileva che l’adempimento dei doveri di protezione da parte del datore, ex art. 2087 c.c., che non si limiti all’impartimento di prescrizioni di condotta (ad esempio utilizzo della mascherina) o all’adeguamento dell’ambiente di lavoro (ad esempio installazione di pannelli protettivi in plexiglass), ma si spinga sino al punto di sospendere unilateralmente un dipendente, integra la diversa fattispecie giuridica della sopravvenuta impossibilità della prestazione.

Per il Giudice, ne consegue che, in presenza di un sanitario ritenuto inidoneo perché non vaccinato, grava sul datore l’onere di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

Non ritenendo assolto detto onere nel caso di specie, il Tribunale di Milano accoglie il ricorso della lavoratrice, ma non dispone il reintegro della stessa nelle mansioni originariamente svolte in assenza della copertura vaccinale.

A cura di Fieldfish