Con la sentenza del 26.07.2021, il Tribunale di Roma afferma che, all’interno di un RSA, la protezione e la salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile da tutti i dipendenti, con la conseguenza che il rifiuto alla sottoposizione del vaccino anti-COVID rende la prestazione stessa inutile ed irricevibile da parte del datore.
Il fatto affrontato
La lavoratrice – dipendente di una RSA con funzioni non sanitarie – impugna giudizialmente il provvedimento datoriale di sospensione dal servizio e dalla retribuzione, emanato a seguito dell’inidoneità rilasciata dal medico competente stante il rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione anti-COVID.
La sentenza
Il Tribunale di Roma rileva, preliminarmente, che ogni lavoratore – ai sensi delle prescrizioni contenute nel D.Lgs. 81/2008 – deve prendersi cura non solo della propria salute e sicurezza, ma anche di quella di tutte le altre persone presenti sul luogo di lavoro.
Per il Giudice, ciò significa che i dipendenti sono titolari di precisi doveri di sicurezza, dovendo a tal fine sia osservare le direttive impartite dal datore che contribuire all’adempimento degli obblighi legislativamente previsti.
Secondo la sentenza, è contraria a detto principio la condotta del lavoratore di una RSA che, rifiutando immotivatamente di sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID-19, finisce per mettere a repentaglio la salute dell’utenza.
Su tali presupposti, il Tribunale di Roma rigetta il ricorso, affermando - a fronte della irricevibilità della prestazione - la legittimità della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione.
A cura di Fieldfisher