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La disconnessione fra legge nazionale e ordinamento comunitario


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La disconnessione tra nuove normative e in normative in fieri - La recente legge n. 61 del 6 maggio 2021 interviene sul tema della “disconnessione”, già affrontato dalla legge sul lavoro agile (l. n. 81 del 2017). 

La differenza fra i due provvedimenti è significativa. 

Quello più risalente, pur di regolamentazione generale del lavoro agile, non afferma (almeno espressamente) un diritto alla disconnessione, limitandosi ad affidare all’accordo datore di lavoro/lavoratore il compito di individuare “… le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.

Diretto è, invece il provvedimento più recente, che esplicitamente riconosce “… al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalla piattaforme informatiche …” .

Il rapporto fra le due disposizioni, peraltro, si pone in termini di complementarietà più che di incompatibilità.

Le misure tecniche e organizzative funzionali alla disconnessione restano, infatti, attuali proprio per dare attuazione al diritto. 

La disconnessione: quando? 

La normativa introdotta dalla legge n. 61/2021 non si ferma a quanto già segnalato.  

La disconnessione presuppone una precedente connessione e, in effetti, la connessione è condizione tipica (ma non solo) di chi svolge attività lavorativa in modalità agile. 

Preliminarmente, pertanto, ci si può chiedere se la connessione possa coprire, o meno, tutto l’orario di lavoro. 

Al riguardo, si può considerare quanto presente nella Risoluzione del Parlamento europeo e nella sua proposta di una direttiva in tema di disconnessione. 

Nella proposta, si trova una definizione della disconnessione, definita come “il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro”. 

Dunque, se la disconnessione è nel tempo di non lavoro, la connessione si colloca all’interno dell’orario di lavoro.

In uno dei consideranda della proposta altresì si legge: “Il diritto alla disconnessione consiste nel diritto dei lavoratori di non svolgere mansioni o comunicazioni lavorative al di fuori dell'orario di lavoro per mezzo di strumenti digitali, come telefonate, email o altri messaggi. Il diritto alla disconnessione dovrebbe consentire ai lavoratori di scollegarsi dagli strumenti lavorativi e di non rispondere alle richieste del datore di lavoro al di fuori dell'orario di lavoro, senza correre il rischio di subire conseguenze negative, come il licenziamento e altre misure di ritorsione.”

Considerazioni che fanno vedere chiaramente come la disconnessione è intesa. 

La connessione può essere legata direttamente allo svolgimento della attività lavorativa, come nel caso di un lavoro comune su di un testo effettuato da remoto per il tramite di una particolare piattaforma o, ancora ad esempio, nel rispondere ad una telefonata di un collega o nel leggere e rispondere ad una mail. 

In casi del genere, lo svolgimento di un pezzo di attività lavorativa si combina con l’impiego di strumenti tecnologici che consentono l’interazione fra persone fisicamente distanti. 

La connessione, peraltro, può consistere nella mera disponibilità a ricevere informazioni o richieste di contatti (ad esempio tenendo attiva la posta elettronica, non chiudendo il cellulare di servizio). 

Non è affatto detto, però, che la connessione sia sempre e comune necessaria, anche dal punto di vista dei datori di lavoro. 

Si pensi all’esigenza di affrontare un problema di lavoro che, per sue intrinseche caratteristiche, richiede una particolare e “solitaria” concentrazione. 

Darsi regole e seguire prassi che ammettono la disconnessione dagli strumenti tecnologici anche durante l’orario di lavoro non è solo possibile, ma può essere anche raccomandabile. 

L’iperconnessione è in grado di incidere negativamente anche se interna all’orario di lavoro. 

Il rinvio agli accordi fra le parti - La legge più recente, dopo aver previsto il diritto alla disconnessione, fa riferimento al “… rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati”

La duplicità del rinvio e l’impiego di due diversi connettivi - il diritto alla disconnesione è riconosciuto “nel rispetto degli eventuali accordi” e “fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati” - porta a dire che restano ampi gli spazi per gli accordi. 

Il riferimento alle “parti” fa ritenere che ci si rifaccia ancora agli accordi individuali. Non ne risulta pregiudicata, tuttavia, la possibilità della contrattazione collettiva di intervenire. 

Predisponendo un quadro di regole e procedure organizzative volte a compatibilizzare le esigenze di coordinamento delle collaborazioni lavorative e le istanze di “… conciliazione dei tempi di vita e di lavoro …”, sono proprio gli accordi collettivi la fonte in grado di valorizzare la peculiarità del lavoro svolto in “modalità agile”, senza che il riconoscimento legislativo della disconnessione riferibile in particolare alla fase extralavorativa ne comprometta il ruolo. 

Al riguardo, contano non poco i modi concreti in cui viene praticata la relazione fra responsabili aziendali, colleghi e lavoratori che rendono la prestazione in modalità agile. 

Non risolvendosi tutto con la regolazione astratta, gli accordi collettivi possono, tuttavia, favorire buone prassi. 

La giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di orario: una elaborazione su cui riflettere 

Non si sa se e quando la proposta di direttiva avanzata dal Parlamento europeo avrà seguito. Nondimeno, già da ora è opportuno tenerne conto anche per il rinvio che opera alla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di misurazione dell’orario di lavoro. 

Il Parlamento si muove in una prospettiva di tutela dei lavoratori e, in tale prospettiva, richiama la giurisprudenza della Corte laddove così argomenta: “Tenuto che … gli Stati membri devono adottare tutte le misure necessarie per garantire il rispetto dei periodi minimi di riposo e per impedire qualsiasi superamento della durata massima settimanale del lavoro al fine di garantire la piena efficacia della direttiva 2003/88, una normativa nazionale che non preveda l’obbligo di ricorrere ad uno stumento che consente di stabilire con oggettività ed affibabilità il numero di ore di lavoro giornaliero e settimanle non è idonea a garantire, l’effetto utile dei diritti conferiti dall’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e da tale direttiva …” (sentenza 14 maggio 2019 nella causa C-216/15, Federaciòn de Servicios de Comisiones Obreras). 

In particolare, il Parlamento, collocando la disconnessione al di fuori dell’orario di lavoro, avverte il bisogno di un sistema di rilevazione oggettiva dell’orario di lavoro che, infatti, nella proposta di direttiva risulta inserito fra le misure funzionali all’attuazione del diritto alla disconnessione. 

Su questo, come sulla giurisprudenza della Corte, è il caso di riflettere, stante che risultano evocate questioni di fondo: certezza sul rispetto dei limiti massimi di estensione temporale dell’impegno lavorativo; problematiche di controllo a distanza e di privacy e non solo di inerenza di connessione/disconnessione a periodi di lavoro/non lavoro.

Prof. Avv. Angelo Pandolfo Partner Fieldfisher