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Cassazione: quando lo storno di dipendenti integra la concorrenza sleale


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Con l’ordinanza n. 3865 del 17.02.2020, la Cassazione afferma che non si integra la condotta di concorrenza sleale per storno di dipendenti solo perché alcuni lavoratori passano alle dipendenze di un’impresa competitor che offre una migliore retribuzione ed una sistemazione professionale più soddisfacente (sul medesimo tema si veda: Storno di personale e concorrenza).

Il fatto affrontato

La società, a seguito dello storno di 4 propri dipendenti addetti all’area commerciale ad opera di un’impresa competitor, cita in giudizio detta azienda chiedendo la sua condanna per concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, accertando l'illiceità della condotta tenuta dall’impresa convenuta con il concorso colposo dei lavoratori e condannando la stessa a porre fine a pratiche di sviamento della clientela.

L’ordinanza

La Cassazione, ribaltando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che per la configurabilità di atti di concorrenza sleale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l'attività distrattiva delle risorse di personale dell'imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da rivelare l’intenzione di danneggiare il competitor.
In particolare, tali operazioni devono essere poste in essere, in violazione dei principi di correttezza professionale, al fine di recare pregiudizio all'organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, mediante la disgregazione della sua organizzazione aziendale, per procurarsi un vantaggio competitivo indebito.

Secondo i Giudici di legittimità, per potersi configurare un'attività di illecito storno, assumono rilievo:
• le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall'una all'altra impresa, che non può che essere diretto, ancorché eventualmente dissimulato;
• la quantità e la qualità del personale stornato;
• la sua posizione nell'ambito dell'organigramma dell'impresa concorrente;
• le difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione;
• i metodi adottati per indurre i dipendenti a passare all'impresa concorrente.

Per la sentenza, dunque, l’imprenditore può sottrarre personale al competitor se lo fa con mezzi leciti, anche perché il dipendente ha il diritto di poter cambiare azienda, senza che il bagaglio professionale che ha maturato si trasformi in un vincolo oppressivo tale da impedirgli nuovi sbocchi invece di offrirgli opportunità di crescita.

Applicando tali principi al caso di specie, la Suprema Corte esclude la configurabilità della concorrenza sleale, posto che non vi era stato un passaggio diretto dei dipendenti tra le due imprese concorrenti.

A cura di Fieldfisher