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Cassazione: quali conseguenze in caso di violazione del divieto di storno?


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Con l’ordinanza n. 22247 del 04.08.2021, la Cassazione afferma che è legittima la previsione di una penale elevata in caso di violazione del divieto di storno da parte di un dipendente con ruolo apicale, a condizione che la stessa sia congrua rispetto al pregiudizio sofferto dalla società per effetto della perdita del cliente stornato in violazione degli obblighi contrattualmente assunti (sul punto si veda: Storno di personale e concorrenza).

Il fatto affrontato

La società ricorre giudizialmente contro un suo ex dipendente al fine di sentir accertata l’insussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate dal medesimo, con conseguente condanna al pagamento della penale prevista per violazione del divieto di storno e del patto di non concorrenza.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che le dimissioni erano prive di giusta causa ed erano state rassegnate al solo fine di passare alle dipendenze della nuova datrice, ove il lavoratore aveva fatto transitare alcuni clienti della ricorrente.

L’ordinanza

La Cassazione - nel confermare la statuizione della Corte d’Appello - rileva, preliminarmente, che il regime normativo del patto di non concorrenza di cui all'art. 2125 c.c. non può estendersi anche alla previsione contrattuale del divieto di storno di clienti, perché le due fattispecie vietano condotte differenti.

Secondo i Giudici di legittimità, il regime previsto dall’art. 2125 c.c. proibisce, infatti, lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con la società datrice, anche al termine del rapporto ed ha durata limitata.
Il divieto di storno impedisce, invece, il compimento di atti e comportamenti funzionali a sviare la clientela storica verso un'altra impresa datrice, sfruttando il rapporto di fiducia instaurato e consolidato durante il periodo di dipendenza con la prima società.

Per l’ordinanza, dunque, a fronte dell'autonomia tra queste due ipotesi è legittimo prevedere clausole differenti con penali parametrate al pregiudizio eventualmente sofferto delle parti contrattuali nell’una e nell’altra fattispecie.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore, confermando la condanna dello stesso al pagamento della penale per violazione del divieto di storno e del patto di non concorrenza.

A cura di Fieldfisher