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Corte di Giustizia Europea: il diritto del lavoratore ad essere tutelato contro le ritorsioni del datore


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Con la sentenza emessa, il 20.05.2019, nella causa C-404/18, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea afferma che gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per tutelare i lavoratori dal licenziamento o da qualsiasi altro trattamento sfavorevole che il datore abbia messo in atto quale reazione ad un reclamo all’interno dell’impresa o ad un’azione legale volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

Il fatto affrontato

La lavoratrice, impiegata quale responsabile di un negozio di abbigliamento, sottopone ad un colloquio finalizzato all’assunzione di una commessa addetta alle vendite una candidata che afferma di essere incinta di tre mesi.
Per questo motivo la società decide di non assumerla, anche contro il consiglio della responsabile che riteneva tale condotta contraria alla legge.
A seguito del reclamo presentato dalla candidata, la società incolpa della situazione la responsabile, licenziandola per svolgimento carente dei compiti a lei affidati.
Il Tribunale del lavoro di Anversa - investito della questione inerente l’impugnativa giudiziale di detto recesso - mediante rinvio pregiudiziale, chiede alla CGUE se sia conforme al diritto comunitario, una normativa nazionale che offra tutela contro le ritorsioni nei confronti di persone intervenute a difesa del principio di parità di trattamento, solo ove le stesse siano chiamate a deporre sul punto una testimonianza in giudizio.

La sentenza

La Corte di Giustizia rileva, preliminarmente, che l’articolo 24 della Direttiva 2006/54, impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per tutelare i lavoratori dal licenziamento o da qualsiasi altro trattamento sfavorevole che il datore di lavoro abbia messo in atto quale reazione ad un reclamo all’interno dell’impresa o ad un’azione legale volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

I Giudici ritengono che la stessa tutela debba essere assicurata ad ogni dipendente che difenda una persona tutelata ai sensi della citata direttiva o che testimoni in suo favore, anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
 La suddetta Direttiva mira, dunque, a circoscrivere la categoria di lavoratori - diversi dal soggetto discriminato - che deve poter beneficiare della tutela contro le ritorsioni, non sulla base di criteri formali, bensì sulla base del ruolo che tali dipendenti possono aver svolto a favore della persona protetta e che può aver indotto il datore ad adottare misure sfavorevoli nei loro confronti.

Secondo la sentenza, quindi, i lavoratori - diversi dalla vittima di una discriminazione fondata sul sesso - devono essere tutelati in quanto possano essere svantaggiati dal datore a causa del sostegno da loro fornito, in modo formale o informale, alla persona discriminata.

Su tali presupposti, la CGUE dichiara che è contraria al diritto dell’Unione una normativa nazionale, in forza della quale, è tutelato contro le misure di ritorsione adottate dal datore soltanto il lavoratore intervenuto in qualità di testimone nell’ambito dell’istruttoria di un reclamo presentato per la mancata applicazione del principio di parità di trattamento.

A cura di Fieldfisher