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Cassazione: licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore e relativi obblighi del datore


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La Cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza n. 6798 del 19.03.2018, ha statuito che il datore di lavoro è tenuto ad adottare soluzioni ragionevoli atte a consentire al lavoratore disabile, secondo l’accezione prevista dalla direttiva 2000/78, di svolgere il proprio lavoro garantendo la piena uguaglianza con gli altri lavoratori. 

Il fatto affrontato

Il lavoratore, inquadrato come saldatore e manutentore meccanico, subiva un licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta determinata da plurime patologie che non ne consentivano l’esposizione alle polveri di cemento presenti sul posto di lavoro.
I giudici di primo e secondo grado, previo espletamento di CTU, accoglievano la domanda di annullamento del recesso avanzata dal lavoratore sul presupposto che il medesimo ben avrebbe potuto essere adibito a mansioni compatibili con il proprio stato di salute mediante adozione da parte dell’imprenditore di misure di prevenzione compatibili con l’organizzazione aziendale.

La sentenza

La Suprema Corte ha confermato la correttezza del ragionamento spostato dai precedenti giudici di merito partendo dal presupposto che, in virtù del disposto dell’art. 5 della direttiva 78/2000 CE, attuata dall’Italia solo con il D.L. 28 giugno 2013 n. 76, la condizione di handicap del dipendente deve essere tutelata consentendo al medesimo interessato la piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale aziendale in condizione di uguaglianza rispetto agli altri dipendenti considerati pienamente idonei al lavoro.

A tale scopo, il datore di lavoro è tenuto ad assumere i provvedimenti più appropriati, in funzione delle specifiche situazioni concrete, per consentire ai disabili di svolgere la propria prestazione senza pregiudizio salvo che gli adattamenti organizzativi necessari a tal fine non si rivelino eccessivamente onerosi per l’azienda.

A cura di Fieldfisher