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Cassazione: legittimo il licenziamento per g.m.o. finalizzato ad aumentare i profitti


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Con l’ordinanza n. 19302 del 18.07.2019, la Cassazione afferma che è legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche quando lo stesso è finalizzato alla ricerca di una maggiore produttività e, dunque, ad un incremento del profitto (sul medesimo argomento si veda: Cassazione: licenziamento per g.m.o., rapporto tra obbligo di repechage ed insindacabilità delle scelte aziendali).

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli dalla società datrice.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sostenendo che l’azienda non aveva provato la situazione di crisi economica tale da influire in modo decisivo sull'andamento dell’attività e da imporre la risoluzione del rapporto di lavoro.

L’ordinanza

La Cassazione, ribaltando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che il giustificato motivo oggettivo può essere integrato da ogni modifica della struttura organizzativa dell'impresa che abbia quale suo effetto la soppressione di una determinata posizione lavorativa, indipendentemente dall'obiettivo perseguito dall'imprenditore.
Pertanto, la finalità del licenziamento non deve essere per forza la necessità di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese straordinarie, potendo risiedere anche nella ricerca di una migliore efficienza ovvero di un incremento della produttività e quindi del profitto.

Per la sentenza, ne consegue che il controllo in sede giudiziale della sussistenza del g.m.o. deve sostanziarsi soltanto nella verifica della effettività e non pretestuosità della ragione obiettiva dichiarata dall'imprenditore e del nesso causale tra la ragione accertata e la soppressione della posizione lavorativa.
Resta, invece, esclusa dall’analisi del giudicante la motivazione addotta dall’imprenditore alla base di tale scelta.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dalla società, stante la mancata applicazione dei predetti principi da parte dell’impugnata pronuncia di merito.

A cura di Fieldfisher