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Cassazione: Danno da straining, ammesso il risarcimento al lavoratore che subisce vessazioni occasionali


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Con l’ordinanza n. 7844 del 29.03.2018, la Cassazione ha ritenuto ammissibile la richiesta del lavoratore volta ad ottenere il risarcimento del danno da straining, forma più lieve del danno da mobbing, caratterizzata dal verificarsi di una serie di comportamenti vessatori in danno del prestatore, che, tuttavia, risultano essere privi del carattere della continuità nel tempo (sul punto si veda: Cassazione: anche lo straining dà diritto al risarcimento ex art. 2087 c.c.).

Il fatto affrontato

Il lavoratore, pur avendo diritto all’inquadramento nella categoria dirigenziale, era stato allontanato dalla direzione generale e deriso con l’invio di lettere di scherno diffuse nella banca ove prestava la sua attività.
In conseguenza di ciò, ricorre giudizialmente al fine di ottenere il relativo risarcimento del danno non patrimoniale.

L’ordinanza

La Cassazione, censurando il comportamento del datore di lavoro, riconosce il danno da “stress forzato” in capo al dipendente, vittima di alcune azioni ostili che, seppur numericamente limitate e distanziate nel tempo, vengono considerate capaci di provocare una modificazione negativa, costante e permanente, della situazione lavorativa del dipendente sì da pregiudicarne il diritto costituzionalmente tutelato alla salute.

I Giudici di legittimità sottolineano, sul punto, che il datore di lavoro è tenuto ad evitare situazioni “stressogene” che diano origine a condizioni che, per caratteristiche, gravità e frustrazione personale o professionale, possano presuntivamente ricondursi alla suddetta forma di danno, anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.

Una simile condotta datoriale, infatti, comporterebbe una lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa ed alla libera e piena esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro (anche nel significato “areddituale” della professionalità), quali diritti costituzionalmente garantiti nonché tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Applicando tali principi al caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla Società, riconoscendo il diritto del prestatore ad ottenere un risarcimento per il danno non patrimoniale subito.

A cura di Fieldfisher