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Cassazione: le dimissioni della lavoratrice madre possono essere efficaci anche senza la convalida?


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Con l’ordinanza n. 5598 del 23.02.2023, la Cassazione afferma che la specifica finalità antiabusiva perseguita dalla norma in tema di convalida delle dimissioni della lavoratrice madre risulterebbe in larga parte vanificata ove si accedesse all'opzione per la quale, una volta trascorso il periodo protetto, non sarebbe necessaria la convalida da parte dei servizi ispettivi per il prodursi della efficacia del negozio di recesso.

Il fatto affrontato

Il Tribunale accoglie il ricorso della lavoratrice teso ad ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società e condanna la stessa alle differenze retributive per il periodo compreso tra l'8 gennaio 2008 - data nella quale la dipendente, assente per maternità, aveva rassegnato le dimissioni - ed il 22 maggio 2008 (in coincidenza con il venir meno del periodo "protetto").
Sul gravame interposto dalla lavoratrice, la Corte d’Appello dichiara la inefficacia delle dimissioni rassegnate per non essere mai intervenuto il prescritto provvedimento di convalida da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, condannando la società al pagamento degli importi corrispondenti alle retribuzioni mensili percepite fino alla data di deposito del ricorso giudiziale (e non già sino al termine del periodo protetto).

L’ordinanza

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che non può essere sostenuta l’interpretazione dell’art. 55 del D.Lgs. 151/2001 secondo la quale la inefficacia delle dimissioni non convalidate dal servizio ispettivo ministeriale, sarebbe limitata al solo periodo "protetto", per cui una volta trascorso detto periodo le stesse sarebbero produttive della estinzione del rapporto di lavoro.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, tale approdo ermeneutico non è innanzitutto sorretto dal dato testuale, in quanto il citato art. 55 utilizza una formula ampia, di carattere generale, dalla quale non è in alcun modo dato inferire che la necessità della convalida sia destinata a venire meno una volta trascorso il periodo oggetto di particolare protezione.

In secondo luogo, continua la sentenza, una tale interpretazione confliggerebbe con la specifica ratio che sorregge la disposizione che è quella di salvaguardare la genuinità e la spontaneità della volontà dismissiva espressa dalla lavoratrice in un periodo particolarmente delicato, corrispondente alla gravidanza ed al primo anno di vita del bambino, contro eventuali abusi datoriali volti a viziare o condizionare in vario modo la formazione della volontà.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società.

A cura di Fieldfisher