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Cassazione: validità del patto di prova inserito in successivi contratti nell’ambito di un appalto


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Con l’ordinanza n. 18268 del 11.07.2018, la Cassazione afferma la legittimità del patto di prova, riguardante prestazioni con identità di mansioni, inserito all’interno di più contratti di lavoro successivi stipulati con differenti datori nell’ambito di un appalto.

Il fatto affrontato

Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli al termine del patto di prova da parte della società datrice.
A fondamento della propria domanda deduce la nullità del patto stesso, sul presupposto che era di contenuto identico a quello inserito nei precedenti contratti di lavoro stipulati con altri imprenditori, cui il datore aveva dato in appalto il servizio.

L’ordinanza

La Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello, afferma che, nel lavoro subordinato, la ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro tra le medesime parti è ammissibile solo se, in base all'apprezzamento del giudice di merito, vi sia la necessità per il datore di verificare, oltre alle qualità professionali, anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute.
Tale principio, secondo la sentenza, è applicabile anche all’ipotesi in cui il patto di prova riguardi una prestazione con mansioni di eguale contenuto resa, in successione, per differenti datori di lavoro nell'appalto.

Per i Giudici di legittimità ne consegue che il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso.
Incombe, pertanto, sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova.

Su tali presupposti, stante la legittimità del patto di prova inserito in un contratto di nuova stipulazione che, se pur operante nel contesto dell'appalto, lasci inalterata la necessità di valutazione del permanere degli elementi di qualificazione della prestazione lavorativa, soprattutto in presenza di differenti datori, la Suprema Corte rigetta il ricorso presentato dal prestatore.

A cura di Fieldfisher